carta .154

















A volo d'uccello e' il rilievo dello stato dei luoghi di un giardino che sta nascendo. Quello sotto e' invece il progetto, piegando il foglio di carta.

   Il volo d'uccello crea la visione prospettica ed il giardino prende vita e si stacca dalla carta stropicciata. I nomi solo rimangono fermi dove ci sono le chiome dell'Acer pensylvanicum 'Erythrocladum', del Cercis canadensis 'Forest Pansy'... che in Italiano vuole dire viola del bosco. Andare al mattino quando l'umidita' e' massima a verificare metro e matita alla mano le misure che non tornano. Il foglio si bagna, si rompe li' dove una volta curvata la carta si formera' un piccolo rilievo del terreno, proprio dove nel giardino avevo disegnato un dislivello di 20, 30 centimetri.

   Atlante.

   Dal basso della fotografia scorrendo verso l'alto dove il fuoco della lente dell'iPhone ha misurato la distanza dal foglio e tutto e' nitido, dove i nomi piu' nitidi sono anche piu' distanti e non si leggono, insieme alle misure che sono troppo piccole e gia' troppo simili ai tratti del disegno.

   Dubito di avere altri strumenti per sentirmi a mio agio nel parlare del giardino giapponese che sto realizzando; altri strumenti cosi' adeguati a passare per questa indefinitezza dove tutto e' al proprio posto, ma ricorda qualcosa d'altro: una montagna nel rilievo della carta bagnata e poi asciugata, un lago nell'azzurro che non sa staccarsi da terra, i nomi che scorrono alla base dell'albero e sull'acqua, come le loro foglie.   

un disegno per una canzone .152















La foto inverte la grafite che corre lungo la parola grassland scritta sulla pagina e la parola dnalssarg ora significa "un disegno per una canzone". Il disegno e' a matita e cerca di imitare l'erba quando, vista a volo d'uccello, comincia in onde che cominciano sul campo. Mi sono sempre piaciute le linee formate da qualcosa che sta fermo: le onde del mare sono movimenti di particelle d'acqua che non si spostano, cosi' anche le onde d'erba sono fili d'erba che non si spostano, il suono pure se ne sta fermo e non si muove, non viene da nessuna parte e non va in nessun luogo, comincia soltanto e lo si potrebbe chiamare un "canto fermo" come qualcuno ha detto; dura; da dove?! Come la grafite quando insegue l'erba.

Tempo .151

Derek Jarman al suo Prospect Cottage, Henk Gerritsen ai suoi prati o Frances H. Burnett al suo giardino segreto e Goethe alle sue affinita' elettive... ad ognuno dei libri sul tavolo corrisponde una vita intera. 

   Un amico mi disse: "Ma l'ho letto quando avevo vent'anni!...". Vorrei allora rileggere Le affinita' elettive a 60 anni, l'eta' di Goethe quando scrisse. Il giardino sfiorisce in lei non appena lui le dice che il sentiero cui sta pensando non e' funzionale. Una vita intera per capire che in questa piega dello spirito si attiva la chimica che accosta e tiene due esseri.


l'estate di San Martino .150

Finite le giornate del workshop Hybrid Parks ho incontrato il coordinatore del progetto, Christian Gruessen. Gli avevo ricordato se stesso trent'anni prima presentare la tesi di laurea. "Allora quello che ho detto e' superato!"; "No, non passera' mai, ma dai spazio al design, questo modo di intendere il progetto necessita di design." E' stato il primo maestro e non pensavo ne avrei incontrato uno dopo tanto tempo ed in questo nuovo disciplinare. Un vento caldo soffia per l'Europa.

la mano aperta, la main ouverte .149

Forse e' questione di colori, di forme, altezza, struttura, trasparenza, volume, foglie a terra e terra: tutte le diverse cose che in una sola pianta formano un giardino. Vedere tutte queste cose saltando di scala in scala alla velocita' di chi le ha gia' viste tante volte ed ora le vede funzionare insieme. Come quando si guarda in trasparenza le cose e le singole loro parti sono un unico movimento in atto.

   Si tratta di guardare il verde della citta' e portarlo in palmo di mano facendo si' che le sue parti funzionino come una Unita' attraverso la loro differenziazione. Soltanto resi diversi, i singoli spazi verdi di una citta' cominciano a funzionare come Unita' ciascuno portando cio' che di particolare ha da dire.

   Aver bisogno di questa diversita' forse deve passare per quei colori e forme della prima riga.

   Non lo so, per me e' cosi', un'abitudine cominciata tempo fa. Un'abitudine a guardare. Dove le cose cominciano se le guardo, altrimenti, non che non succeda nulla, semplicemente cio' che succede mi parla di qualcosa che potrebbe essere molto migliore ed a portata di mano, ma non lo e' ancora. Ecco dove ci si lascia andare e ci si affida alla descrizione delle cose belle. E dare il nome di un colore a cio' che un attimo prima aveva ricevuto il nome che si da alle forme per poi scoprirsi a nominarlo come quando diamo nomi ai vetri e si chiama trasparenza: sono le foglie gialle, palmate e traslucide degli aceri ora che e' autunno.

   Se cominciamo a dare nomi alle cose belle le differenziamo e costruiamo la frase che ci fa entrare gia' in un racconto. Ecco come comincia un parco grande come un'intera citta'. Ecco come comincia l'unita' delle parti verdi che compongono una citta'. Comincia tutto come una descrizione in cui il contorno della nostra mano che tiene nel suo palmo l'intero Verde della citta' non riesce piu' a dire dove comincia il bordo di quel verde e dove comincia il proprio.

   L'architetto francese Le Corbusier aveva disegnato una grande mano aperta che ruotava intorno ad un piedestallo per accogliere i beni che provengono da quell'altro grande Aperto che e' il cielo, cosi' da essere attenta ad ogni direzione del vento che soffia da quel blu dove nascono le idee piu' belle e dove i pensieri ricominciano. Ecco da dove viene il titolo di questa pagina.

Keats scrisse A Song About Myself .148

A Song About Myself

I.
There was a naughty boy,
A naughty boy was he,
He would not stop at home,
He could not quiet be-
He took
In his knapsack
A book
Full of vowels
And a shirt
With some towels,
A slight cap
For night cap,
A hair brush,
Comb ditto,
New stockings
For old ones
Would split O!
This knapsack
Tight at's back
He rivetted close
And followed his nose
To the north,
To the north,
And follow'd his nose
To the north.

II.
There was a naughty boy
And a naughty boy was he,
For nothing would he do
But scribble poetry-
He took
An ink stand
In his hand
And a pen
Big as ten
In the other,
And away
In a pother
He ran
To the mountains
And fountains
And ghostes
And postes
And witches
And ditches
And wrote
In his coat
When the weather
Was cool,
Fear of gout,
And without
When the weather
Was warm-
Och the charm
When we choose
To follow one's nose
To the north,
To the north,
To follow one's nose
To the north!

III.
There was a naughty boy
And a naughty boy was he,
He kept little fishes
In washing tubs three
In spite
Of the might
Of the maid
Nor afraid
Of his Granny-good-
He often would
Hurly burly
Get up early
And go
By hook or crook
To the brook
And bring home
Miller's thumb,
Tittlebat
Not over fat,
Minnows small
As the stall
Of a glove,
Not above
The size
Of a nice
Little baby's
Little fingers-
O he made
'Twas his trade
Of fish a pretty kettle
A kettle-
A kettle
Of fish a pretty kettle
A kettle!

IV.
There was a naughty boy,
And a naughty boy was he,
He ran away to Scotland
The people for to see-
There he found
That the ground
Was as hard,
That a yard
Was as long,
That a song
Was as merry,
That a cherry
Was as red,
That lead
Was as weighty,
That fourscore
Was as eighty,
That a door
Was as wooden
As in England-
So he stood in his shoes
And he wonder'd,
He wonder'd,
He stood in his
Shoes and he wonder'd. 

John Keats



Incipit vita nova .147

Il melocotogno e' caduto... come puo' essere che il peso delle melecotogne abbia fatto cadere, sradicare, rovinare a terra il mio alberello, il melocotogno?... E dopo solo due giorni dalla rottura del melograno... E per di piu' con tutto il peso sulle anemoni ed il pero... insomma non ho potuto fare altro che una marmellata: melecotogne, mele verdi e banane in omaggio ad un albero orizzontale in giardino dal quale cresceranno ramoscelli lungo un tronco ancora attaccato al terreno sotto il quale cresceranno felci, epimedi, anemoni, anemoni, anemoni. Incipit vita nova

BBPR .146

Il melograno in giardino si e' rotto sotto il peso delle melegrane.

   Un'amica mi ricorda i BBPR. Il loro quadrato attraversato dall'aria come quando si pota un melo e si dice che tra i rami deve poter passare un uccello.

Hybrid Parks e L'Allegoria del Buon Governo .145

Hybrid Parks Workshop, Ferrara 6, 7, 8 Novembre 2013


Si parla di Hybrid Parks. Tradotto in Italiano diventa Parchi Ibridi. Possiamo spingerci oltre e pensare di tradurlo dal linguaggio verbale al linguaggio visuale, come nella prima meta' del XIV secolo Ambrogio Lorenzetti dipingeva nell'affresco dell'Allegoria del Buon Governo sulle pareti del Palazzo Pubblico di Siena, era l'anno 1338. Chi canta e danza, chi attende alle proprie faccende, una citta' si apre alla campagna, le persone entrano ed escono, chi va a caccia e chi porta merci. La citta' si apre alla campagna attraverso una fascia di orti e vigneti adiacenti le mura. E' l'immagine della Pace, un'immagine di cose differenti ed in armonia tra loro, molteplici e colorate. E' l'allegoria del Buon Governo. Sulla parete di fronte un'unica macchia grigia e marrone del colore di boschi devastati e campi abbandonati e' l'immagine del Cattivo Governo.

   Il paesaggio diventa strumento di rappresentazione della condizione della citta'. Ma accade qui qualcosa di piu', e' il potere dell'allegoria. L'allegoria si compone di determinate cose: le ragazze che danzano ridendo, le finestre aperte delle case, i negozi, i campi coltivati e queste cose sono identiche a cio' che per noi significa Pace, queste cose sono la Pace. L'allegoria fissa l'identita' tra la Pace ed il suo Paesaggio, generando in noi un senso di familiarita' e di appartenenza ad esso. La forza dell'allegoria e' qui: crea un'indissolubile unita' tra quel Paesaggio e cio' di cui noi abbiamo bisogno. In una sala del Palazzo Pubblico di Siena, la Pace e la citta' del XIV secolo avevano trovato il proprio Paesaggio.

   A Ferrara, dal XV al XVI secolo, il grande potere economico-militare dei duchi Estensi assumeva una duplice forma, da un lato, armi di ultima generazione da usare e vendere ai potenti d'europa e, dall'altra, le Delizie, palazzi con giardini in cui la corte abitava alcuni mesi all'anno: il giardino, in un'epoca di guerra, e' manifesto di potere e sua rappresentazione.

   La presenza di queste aree verdi nella citta' di oggi e' rimasta pressoche' intatta. La vista dall'alto mostra la zona Nord-Est della citta' di colore verde continuo ed e' qui che accadono le cose piu' interessanti. Cio' che si percorre e' una rara fusione di sacro e profano tra orti medievali. Entro il perimetro delle mura una campagna mantiene il proprio uso, non solo la propria persistenza formale, come area di rispetto tra i due cimiteri cristiano ed ebraico che ne hanno garantito la durata.

   Forse Ferrara puo' ospitare un ragionamento sugli Hybrid Parks perche' li conosce da tempo o meglio conosce possibilita' antiche di gestione dello spazio verde pubblico che possono essere fonte di stimolo per il mondo contemporaneo. Un'idea super-moderna, quella degli Hybrid Parks, trova qui, quasi casualmente, delle radici. Questa idea, radicandosi nel tempo, acquista una patina di normalita', di ovvieta' che ci restituisce all'evidenza del suo piu' autentico carattere e sua piu' autentica ricchezza: la molteplicita'. La normalita' che si incontra a Ferrara rende l'idea della fusione di urbano ed agricolo piu' familiare, piu' consueta ovvero gia' piu' disponibile a sedimentarsi nell'immaginario di tutti coloro che l'attraversano. Si tratta allora di giungere alla fine del workshop con in se' maturato un senso di riscoperta, quasi di ovvieta' visiva e percettiva circa il significato di hybrid e con essa maturato il bisogno estetico di questo tipo di paesaggio. Un'appartenenza tout court. Le forme progettuali di tale riscoperta, poi, sono tutte da inventare.

   Nella forma di un giardino -ogni Parco e' un giardino- trova rappresentazione l'urgenza di chi lo crea e la storia del giardino e' un continuo cambiamento di forme e di idee, come teatro di una rappresentazione che muta di volta in volta i suoi contenuti.
Sappiamo tutti che l'urgenza ecologica e' l'idea dominante del nostro presente. Si tratta allora di trovare una risposta alla questione: quale sia la forma di giardino in grado di interpretare questa urgenza. Mi piace pensare che il giardino in grado di interpretare le cose che piu' ci stanno a cuore abbia una forma insolita, capace di seguire le piante nel loro sviluppo naturale.

   Il bello e' che ad accogliere l'Ecologia nel nostro sguardo si arriva al punto di non poterne piu' fare a meno... Il piu' avventuroso dei giardinieri inglesi si chiamava Christopher Lloyd ed il 21 Dicembre '78 scriveva: “... E' questione di educazione: se sei cresciuto correndo nell'erba alta, non ne puoi piu' fare a meno.” Non poter piu' fare a meno di una Bellezza che viene a galla in forme non piu' riconducibili ad una consueta idea dell'ordine, ma sinonimi di varieta' biologica... "Pettini con la mano le erbacee a fine stagione." scrisse il designer olandese Henk Gerritsen in una lettera alla sua ultima cliente. 

   Si tratta di creare una cultura del verde aperta a soluzioni adatte al fenomeno di lento e progressivo impoverimento della diversita' climatica, adatte alla tendenza all'innalzamento delle temperature e alla scarsita' d'acqua. Attenzione alla sostenibilita' nella scelta vegetale da coniugare con un tipo di progettazione informata ai sistemi vegetali che si trovano in natura nella creazione di comunita' vegetali semi-autosufficienti. Piante resistenti e durature messe a dimora in seno ad una progettazione che, facendosi mimetica dei paesaggi naturali, sia in grado di condurre il dinamismo delle comunita' vegetali nel paesaggio delle nostre citta'. La gestione di questi spazi assecondera' sia l'opportunita' autunnale ed invernale di insetti ed uccelli di nutrirsi dalle teste dei fiori secchi, sia la bellezza formale delle erbacee perenni nella loro fase invernale, intervenendo solo allora alla loro recisione, con un contenimento delle spese. E cosi' pure lo sfalcio delle comunita' vegetali prative verra' differenziato, laddove la fruizione pubblica lo permetta, lasciandole al loro naturale sviluppo, anche in questo caso con un contenimento delle spese grazie al fatto che lo sfalcio di fine stagione e' affidato ad agricoltori per l'alimentazione degli animali. Sostenibilita' nella scelta delle specie, sostenibilita' nella progettazione e sostenibilita' nella gestione.
Sostenibilita' allora diventa qui sinonimo di molteplicita', quella molteplicita' di cui parlavo all'inizio, di cui e' fatto il Paesaggio della Pace nell'affresco dell'Allegoria del Buon Governo.

   Il rischio di non ascoltare l'urgenza ecologica non traducendola nelle forme ad essa piu' consone e' che il paesaggio in cui viviamo non rappresenti piu' nulla per nessuno e che le sue forme si ripetano senza creare intorno a se' alcun senso di condivisione. Ed e' di condivisione che si crea la Citta'. Se il Buon Governo e la sua Pace avevano trovato nel XIV secolo la loro adeguata rappresentazione pittorica, il proprio Paesaggio, noi dobbiamo interrogarci su quale forma l'urgenza ecologica del XXI secolo, la nostra Pace, puo' trovare la propria adeguata rappresentazione. Quale sara' la nostra allegoria?

   Come puo' una comunita' locale arrivare ad avere una gestione del verde che permetta tali esperimenti nell'ambito delle proprie disponibilita' economiche? E' difficile per piu' ragioni, ne scelgo due: la disponibilita' economica e la cultura della cittadinanza. La prima rende possibile la nascita di ogni cosa, la seconda rende possibile la sua durata. Questo workshop affronta il secondo punto in quanto e' strumento di comunicazione, puo' fissare un accordo dal quale partire insieme in piu' paesi per la costruzione di un consenso pubblico diffuso. Spetta quindi ai governi locali delle citta' studiare il primo punto, come creare le opportunita' nell'ambito delle proprie disponibilita'.

   Ferrara non ha grandi risorse economiche, ma si e' dotata di uno strumento di gestione degli spazi verdi pubblici che puo' permettere novita'. Si chiama Adozione Verde: privati cittadini si associano senza scopo di lucro ed adottano per la durata di cinque anni un'area di dimensioni variabili dai 20mq ai 2.000mq. L'uso differenziato dello spazio pubblico si moltiplica cosi' per l'intera citta' arricchendosi dei piu' svariati molteplici apporti dei privati cittadini. Ed e' qui che si torna all'importanza dell'informazione e della cultura della cittadinanza per garantire la qualita' delle sue proposte.

   E' cosi' che hybrid perde ogni connotazione dimensionale e diventa: consuetudine di pensiero ed e' cosi' che puo' spingersi un po' piu' in la' dell'idea di Parco ed entrare nelle nostre case ad arricchire i frammentati spazi verdi privati per trasformarli e farli funzionare in una unita' piu' grande. Se immaginiamo di guardare dall'alto la citta' di Ferrara, con la fortuna di vedere come gli uccelli, l'insieme frammentario dei suoi giardini si rivela qual e': gli uccelli non si curano dei muri divisori tra giardino e giardino, volano sopra un unico giardino grande quanto l'intera citta', la cui ricchezza e' data dalla varieta' dei tanti piccoli habitat che lo compongono. Non e' questione di scala, bensi' di approccio ed ha un nome: molteplicita', ancora una volta.

   Se questa visione si fa piu' matura Ferrara, come molte altre citta', puo' non aver bisogno di un hybrid park, perche' gia' e' un hybrid park, in quanto gia' funziona come tale. Soltanto e' necessario che si faccia piu' maturo ovvero piu' diversificato il modo in cui i suoi spazi verdi funzionano nel loro insieme, ciascuno avvalorato dalla propria particolarita'. La molteplicita', che qui a Ferrara con un salto di scala temporale inatteso tiene unito il presente al medioevo, puo' diventare molteplicita' spaziale in grado di tenere e fare funzionare insieme il piccolo giardino ed il grande parco, rendendo ogni scala di intervento piu' fluida, piu' adattabile; ovvero, in una sola tensione, rendere la nostra Allegoria piu' attenta alla fragile imprevedibilita' del nostro tempo.

Atlas .144

Capita, a volte, quando avvicino lo sguardo un po' troppo ad uno schermo, per esempio all'iPhone quando voglio entrare nel video dei Coldplay Atlas, che le immagini prima sfochino poi si dissolvano nei miei occhi che vedo venire a galla sul vetro, dal nero dello spazio in cui le costellazioni i pianeti i segni e la musica che sta formandosi si muovono.

Darwin .142


















Il giardino Priona di Henk Gerritsen scorre nel mio iPhone tra le foglie dell'ippocastano di due anni e le erbe cresciute dai semi dei prati del Friuli.

   Darwin ha trovato acerrimi nemici nei professori delle grandi istituzioni scolastiche inglesi.

   Discendere dalle scimmie non mi fa certo piacere visto che di esse ho perso piu' o meno tutto divenendo sempre piu' fragile nel processo evolutivo, degli uccelli poi non posseggo piu' le ali, del respirare sott'acqua dei pesci non se ne parla neppure e, ultimo gradino, della medusa primigenia non posso neppure rivendicare la pigrizia con alcun onore... Qui spunta una manina, li' una pinnetta ed i due embrioni fino a quel momento simili simili, prendono le loro vie di milioni di anni. E via, siamo trasformazione in atto di materia vivente! Bello no?! Almeno per un po' pero' la nostra forma ci e' garantita, questo si.

   Come pensare allo scorrere della vita nelle nostre cellule senza sentirsi sciogliere i tessuti, i tendini, le ossa, in qualcosa di fluido, permeabile, che fra milioni di anni avra' assunto una forma totalmente diversa e pure colta in un istante del suo instancabile durare continuo di trasformazione... sempre piu' lontano dai pesci, dagli uccelli, dalle scimmie... dall'uomo... Simile a chi? Da chi dissimile? Eppure...

   Eppure e' meraviglioso pensare che, in tutto questo infinito moto, accade che noi ad un certo punto siamo attratti ed affidiamo la nostra vita ad un volto, uno sguardo, un profilo e ci perdiamo in esso divenendo eterni. E' l'oblio, che viene da chissa' dove dentro di noi. Vero mistero, questo si. Molto simile al mare da cui veniamo appunto, ed in cui ci pare di fonderci, quasi un ritorno a casa, un ritorno all'origine, all'unita', ovunque questa nostra materia vivente si trovi nel corso della sua evoluzione. Sempre li'. Sempre disponibili al ritorno. Ogni volta ancora un volto appare ed ogni volta ancora esso ci fluidifica e quasi noi diventiamo la medusa di cui abbiamo ancora e sempre un brevissimo segmento di DNA.

   Cos'e' che viene a galla? Da dove? Come si chiama e come si spiega? Di cosa siamo fatti?

   Materia in trasformazione animata nel profondo da qualcosa che e' in grado di sottrarla al tempo rendendola eterna ad ogni respiro. La materia cosi' si salda al principio vitale che un volto di un'altra persona porta a galla dal profondo. Principio vitale immensamente piu' forte della forza di trasformazione della materia che invece spinge oltre, procede instancabile e non si ferma. Quel principio vitale ci fa fermare ed uscire dal tempo.

   La materia allora puo' anche procedere nella sua trasformazione, ma una parte piu' profonda, sconosciuta fino ad allora, separa la propria via da quello scorrere. E' uno stato di oblio e di eternita' in cui la percezione che noi abbiamo di noi stessi non e' piu' fisica. Ci sentiamo fatti di una materia nuova, ancora permeabile e fluida, non piu' pero' in movimento. Uno stato di continuita' e durata, anziche' di moto. Le onde rientrano nel mare di cui sono fatte.

   Siamo quanto di piu' passeggero possa esistere e non solo non ce ne accorgiamo, ma anche, a tratti, diventiamo eterni!

   Questo, per quanto riguarda l'animale uomo nel suo stato attuale. E fra milioni d'anni? Davvero ancora tutto si fermera' davanti ad un volto? Chissa'.

   E tutto dall'applicazione "BBC iPlayer" dell'iPhone, ora tra i vasi del mio terrazzo. Un paio di documentari dedicati a Darwin ed ecco che faccio un balzo di piu' futuri, come nessuna lezione al liceo mi aveva lasciato.

mare .141

C'e' un giardino a Napoli che il mare forma davanti alle finestre facendo surfare i semi sulla spuma finche' non si raccolgono i frutti, un po' a coda di volpe, un po' a retina di foglie, un po' a forma di S, quei dolcini di Burano che fanno addormentare bene e fanno della distanza geografica un buffetto.

.139


il pugile greco .138

Lo sguardo si volge a destra verso l'alto, sta ascoltando qualcuno che gli parla, l'allenatore o un compagno che lo chiama. Distratto. Un amico mi manda un breve video del pugile greco con i tagli dei guanti ferrati di inserzioni di rame, rosso. Fermare nel bronzo un attimo d'assenza d'eroismo che restituisce il giovane pugile alla sua umanità, per sempre. Per sempre gli e' resa giustizia. Con un movimento totalmente privo di volontà e potere la vita entra nel metallo attraverso il gesto più inatteso che la figura rappresentata potrebbe mai fare in vita.

   È questo il carattere rivoluzionario del quotidiano che rende giustizia alla prigionia rispetto ai miti che i ruoli sociali assegnano agli esseri umani, i miti dei rapporti di potere in cui il mondo si struttura. Non c'e' piu' pugile, combattimento, sport.

   Il carattere rivoluzionario del linguaggio e la sua espressione sono in quel movimento distratto. Lo scultore ha smascherato il mito e dato voce a questo carattere trasmettendolo alle generazioni come il mordente più intimo del bisogno di giustizia, mettendo nella sua materia la lima che il carcerato trova nel pane.

   Non ho mai amato il pugilato, ma i pugili mi sono simpatici e non so cosa c'entri il pugilato con il fare giardini, eccetto che le mani dei venditori di fiori di Columbia Road somigliano alle sue.

per te .136

Gli esami non finiscono mai, come sa chi studia medicina. Sentire pero' che i 16 anni sono di nuovo li' a fare capolino, per chi come me pensava di avere gia' finito la scuola, e' davvero inatteso e sono curioso.
   
   Cosi' spunta Richard Mabey con "Il taccuino del naturalista", un libretto meraviglioso sull'inevitabile piega soggettiva che lo sguardo scientifico sul mondo naturale puo' a volte prendere. E' cosi' per i poeti ed e' cosi' per gli scienziati. Alcuni almeno.

   Come fare a conoscere il canto dell'usignolo se non si ascolta la registrazione della BBC del violoncello che canta insieme all'usignolo?! Come fare a conoscere il volo del cormorano se le lenti del binocolo non trattengono l'odore dell'erba macilenta delle pianure acquitrinose, oppure, come si fa a conoscere l'Arte della cura se non si apprende a sorridere al sorriso che vuole nascere nell'animale malato?

   Di questo, o quasi, parla il piu' grande naturalista inglese. Saltava di fosso in fosso quando era giovane, come gli uccelli di ramo in ramo ed altre creature di spiaggia in spiaggia e cosi' la somiglianza puo' permettere di intendere di che cosa siamo fatti.

   Gli uccelli si dice cantino per comunicare, si dice anche che sia per orientarsi, altri dicono che sia per il semplice piacere di farlo... non lo sappiamo con certezza, possiamo approssimare soltanto. E l'approssimazione viaggia sulle ali della sorpresa, laddove lo sguardo si riposiziona e riesce a trattenere l'odore dell'erba e per la prima volta allora qualcosa di nuovo succede, proprio li', in quel luogo specifico, diversamente da altri luoghi dove non ci si era accorti di nulla prima, perche' e' li' che l'erba ha quell'odore ed e' li' che il cormorano che di essa ha bisogno ci informa di una cosa nuova.

   Diventa poi tutto infinitamente piu' grande se pensiamo che nell'aria esistono fili di sostanze chimiche che tessono relazioni non solo nell'ambito di una stessa specie, ma anche da una specie ad un'altra... da una foglia ad un animale! Forse allora quegli occhi, orecchie, nasi e mani che insieme non riescono a lasciare la soggettivita', nell'appoggiare il binocolo a terra, sono proprio i sensori con i quali quelle frequenze entrano in allunisono d'ascolto.

   Sono curioso di seguire questa creatura di spiaggia in spiaggia, chissà cosa ha da dire!

Leon Battista Alberti e lo scalpellino di Ferrara .135

Leon Battista Alberti vedeva fluttuare segni latini in un mare indistinto. Era l'occhio dei Bizantini giunto in Italia veicolando Roma dall'Oriente dove la lingua del fare architettura aveva una lunga continuita' sia tecnica che sintattica.

   Nel '400 emergono elementi che avevano attraversato il mare e che si erano trasformati nelle infinite possibili variazioni dei secoli tra Bisanzio e Firenze. Un po' come il RAP nepalese cantato da ragazzini con gli iphone che non prendono alcun segnale, lassu' sulle pendici dei monti piu' alti della Terra, ma suonano la musica.

   I maestri scultori discendenti del quasi-vuoto lasciato dalla peste del '300 con il sapere millenario quasi spazzato via, avevano negli occhi una liquidita' delle forme incredibile. Ed e' qui che Leon Battista Alberti necessita di una lingua perche' l'espressione deve stare entro una lingua per poter comunicare e dunque avere possibilita' di sopravvivere e dignita' di esistere. Ecco che la consuetudine del parlare diventa il presente vivificante dell'espressione, la dimora della lingua, l'identita' presente di colui che si esprime.

   Si rintracciano, con un enorme sforzo di invenzione filologica, regole sintattiche per tutti gli elementi grammaticali che stavano fluttuando attraverso i secoli nelle architetture prive di tempo.

   La Cattedrale di Ferrara e' questo arcipelago delle forme e me ne sono reso veramente conto questa mattina passando in rassegna ogni singolo elemento come non avevo mai fatto, con un bicchiere di latte macchiato (non dico non l'avessi mai fatto senza bicchiere...).

   La Chiesa costruiva il dominio sulle coscienze con l'invenzione della paura e della salvezza e lo faceva edificando le proprie strutture fisse con pietre che erano quanto di meno certo e quanto di piu' fluttuante si potesse mai immaginare. Buffo no?

   La liberta' espressiva degli scalpellini, che sembrano venire dallo Spazio per capacita' d'invenzione, ha un portato che poteva, se letto con gli occhi di oggi, fessurare le fondamenta della Chiesa. E non solo agli occhi di oggi.

   Pero' allora il problema di alcuni grandi era tenere insieme le cose che si sfrangiavano. Leon Battista Alberti per un certo verso e' piu' spaventato di un qualsiasi scalpellino delle colonnine della cattedrale di Ferrara. E' una paura pero' matura che cerca figure che arginino, che diano non certezze, ma strumenti di costruzione progressiva. Un imparare a riparare la nave mentre si naviga, una di quelle naviculae che l'uomo e', a volte, in grado di costruire.

   Chissa' se agli occhi di Alberti Ferrara apparisse disorientata. Forse invece interessantissima, come ogni lavoro in corso. Capitelli bellissimi e diversi fra loro, per figura e concetto, capaci di essere variazione dello stesso tema, su cui pero' si impostano archi senza mediazione alcuna, cosa gia' totalmente out da mo'. Era, appunto, un occhio raffinatissimo che si permetteva invenzioni grammaticali, senza capacita' di articolazione sintattica. Un po' come facevo io appena arrivato a Londra quando usavo termini osando e vuoi caso il latino d'origine comune li rivelava quali termini colti di cui l'interlocutore si meravigliava... poi, pero' le frasi non andavano da nessuna parte. Non comunicavo.

   Questa e' l'infanzia di Ferrara, il suo non comunicare in una lingua condivisa dell'architettura. Troppo vaga ancora, con le sue splendide paraste a grottesche che parlavano Latino applicate a strutture che parlavano Tedesco. Pero'... anche la sua ricerca, il suo farsi spazio tra le forme e la curiosita' ed il coraggio di duchi con le loro maestranze.

   Se pensiamo pero' che contemporaneamente aveva luogo l'immane fatica di Alberti tutto cio' forse puo' far pensare che a Ferrara andasse bene cosi', senza tanta ricerca, semplicemente perche' tali forme in fondo piacevano cosi', poco importa da dove venissero. 

   Dato il mio amore per Alberti e data la ricchezza d'intenti e di volonta' del meglio espressa dalla corte Estense per se', questa indeterminatezza nella sua architettura mi parla di provincia dell'animo. O forse manifesta un preciso voler mantenere la propria identita' urbana in un'ostentata autonomia che entra in tangenza con l'eccentricita'... un po' come avere cavalli fluorescenti nei dipinti.

   Mi sono sempre chiesto dove saremmo arrivati se non ci fosse stato l'occhio alato di Alberti. Magari saremmo stati arabizzati dal meraviglioso linguaggio astratto delle loro forme, arrivato fino dentro il marmo rosa degli archetti ferraresi a piegarli in archi strani ai nostri occhi che diventano carene di nave e portano una sfera chiara e certa: no rappresentazione, no teatro, solo geometria e luce, tanta luce... e giardini.

   Gia' perche' questo e' un blog di giardini, non di architettura e di giardini gli Estensi se ne intendevano. Erano il loro manifesto, ma quale architettura! Cannoni e fiori (non nel senso giusto) questo e' il vero potere.

   I giardini si sono volatilizzati, tornati alla terra e le colonne che li incorniciavano sono ovunque, utilizzate di nuovo per le vie della citta', di nuovo vivi i loro capitelli colti e confusi. (Ma quanto l'amo questa citta'?!)

in giardino .134

Le casette in gesso con i panni stesi sono da una via in citta', mentre il giardino e' quello che un anno fa si presentava cosi'.

   La differenza e' nello spessore che il rigoglio della vegetazione ha dato al piccolo spazio. L'ombra e' verde come le foglie ed un giardino d'ombra come questo e' dunque piu' verde di un altro al sole... l'avreste mai detto?

   Il glicine e la clematide, le anemoni e gli epimedi crescono ed il bosso sotto la sofora sembra disegnato.

   Tutto torna oltre il disegno, quando si tratta di giardini. Si mette tutta la passione per accordare le piante e lo spazio e basta piegarsi un po' piu' a sinistra ed un giardino qualsiasi diventa molto piu' bello del nostro disegno, diventa gia' ispirazione per il prossimo disegno.

   Forse bisogna lasciare che il ficus carica, non piu' tanto carico di frutti, cresca per conto suo ad unire in un solo arco tutto il giardino, diventato gia' un tratto di matita che non potevamo imaginare. Forse l'ho gia scritto da qualche parte, ma qui puo' starci una volta di piu', il ricordo di una lezione sull'architetto Carlo Scarpa: non sapeva disegnare e forse le mille pieghe delle sue vasche d'acqua sono la traduzione di un tratto di mina spuntata della matita. Qualcosa che e' capitato mentre si faceva qualcosa d'altro.

   Ieri sera ho trovato sulla strada questo disegno a gessetto bianco. Casette disegnate negli spazi dei mattoncini, poi ad un tratto il disegno ha preso vita sul filo da casa a casa con i panni stesi. 

the gardener at home .133

Sicuramente e' stato il pallone dei monelli brasilpakistannigeriani a dimezzare l'alberello di mele, ma sicuramente sono stati quei monelli b/p/n ad aiutare me e gli altri oggi a piantare 30 piantine di Rosa canina. Quindi pari.

Ed il giardiniere a casa, come si puo' vedere, e' pienamente soddisfatto di aver completato il Giardino di frutta del grattacielo di Ferrara.

"garden me" / A writing about a wished frontier for the natural gardening

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Ecological Planting Design

Ecological Planting Design

Drifts / Fillers (Matrix) / Natural Dispersion / Intermingling with accents/ Successional Planting / Self seeding
What do these words mean? Some principles of ecological planting design. (from the book: "A New Naturalism" by C. Heatherington, J. Sargeant, Packard Publishing, Chichester)
Selection of the right plants for the specific site.
Real structural plants marked down into the Planting Plan. The other plants put randomly into the matrix: No. of plants per msq of the grid, randomly intermingling (even tall plants). Succession through the year.
Complete perennial weed control.
High planting density. Close planting allows the plants to quickly form a covering to shade out weeds.
Use perennials and grasses creating planting specifications that can be placed almost randomly.
Matrix: layers (successional planting for seasonal interest) of vegetation that make up un intermingling (random-scattering) planting scheme: below the surface, the mat forming plants happy in semi-shade, and the layer of sun-loving perennials.
Plants are placed completely randomly: planting individual plants, groups of two, or grouping plants to give the impression of their having dispersed naturally. Even more with the use of individual emergent plants (singletons) that do not self-seed, dispersed through the planting.
An intricate matrix of small plants underscores simple combinations of larger perennials placed randomly in twos or threes giving the illusion of having seeded from a larger group.
The dispersion effect is maintained and enhanced by the natural rhythm of the grasses that give consistency to the design. They flow round the garden while the taller perennials form visual anchors.
Allow self-seeding (dynamism) using a competitive static plant to prevent self-seeders from taking over: Aruncus to control self-seeding Angelica.
Sustainable plant communities based on selection (plants chosen for their suitability to the soil conditions and matched for their competitiveness) and proportions (balance ephemeral plants with static forms and combinations such as clumpforming perennials that do not need dividing: 20% ephemeral, self-seeding plants, 80% static plants) of the different species, dependent on their flowering season (a smaller numbers of early-flowering perennials, from woodland edges, which will emerge to give a carpet of green in the spring and will be happy in semi-shade later in the year, followed by a larger proportion of the taller-growing perennials which keep their form and seed-heads into the autumn and the winter).
Year-round interest and a naturalistic intermingling of plant forms.
Ecological compatibility in terms of plants suitability to the site and plants competitive ability to mach each other.
Working with seed mixes and randomly planted mixtures.
Perennials laid out in clumps and Stipa tenuissima dotted in the gaps. Over the time the grass forms drifts around the more static perennials and shrublike planting while the verbascum and kniphofia disperse naturally throughout the steppe.
Accents: Select strong, long lasting vertical forms with a good winter seed-heads. Select plants that will not self-seed, unless a natural dispersion model is required.
Planes: if designing a monoculture or with a limited palette, more competitive plants may be selected to prevent seeding of other plants into the group.
Drifts: to create drifts of naturalistic planting that are static in their shape over time use not-naturalizing, not self-seeding, not running plants.
Create naturalistic blocks for the seeding plants to drift around. For the static forms select plants that do not allow the ephemerals to seed into them.
Blocks: use not-naturalizing species, in high densities, in large groups.
Select compatible plants of similar competitiveness to allow for high-density planting (to enable planting at high density in small gardens).
Achieve rhythm by repeating colours and forms over a large-scale planting.