per chi non lo sapesse .77

Tom Jones di Tony Richardson e' un film che fa capire tante cose dei giardini. Per chi non lo sapesse gli alberi, ma ancor piu' gli arbusti, sono le forme vegetali piu' immediatamente utili a nascondersi nelle radure, quando nascondersi diventa necessario o inevitabile, vale a dire, per fornire qualche esempio, quando durante la caccia alla volpe ci si nasconde con la volpe in braccio, per proteggerla dagli stolti, sotto la propria giacca preventivamente cosparsa di catrame, poi per ovvie ragioni galanti e terzo, ma non ultimo caso, per cercare i frutti di Rubus fruticosus. E comunque in questo caso non c'e' bisogno di nascondersi perche' raccogliere le more non e' vietato. Queste cose il film non le dice, ma le insegna.

   Mancano film come questo perche' l'amore si e' fatto pesante nei racconti e la liberta' che lo sottende mi pare non sia poi cosi' consueto vederla coniugata con il pudore. Insieme pero' queste sono le due componenti che fanno del giardino il luogo della felicita' per eccellenza: la liberta' ed il pudore. L'amore, poi, viene da se' in questo scenario. Non c'e' bisogno di altro ed un cespuglio, senza doversi nascondere in esso, rivela il suo nome anche nella distanza, ma il giardino non e' una radura e quindi tutto e' piu' semplice. Cio' che e' vasto infatti e' spesso dispersivo e la fatica che si fa nel rincorrere una volpe Tom Jones la lascia, appunto, agli stolti. Distaccato da tutto perche' non disperde energie, e' di passaggio e gli amici sono ovunque, dipende da lui essere aperto per averne e fa di tutto per esserlo. Certo non puo' fare altro perche' tale e' la sua natura ed e' nato sotto una buona stella.

   La stella di uno scrittore, Henry Fielding, che veniva da una famiglia di magistrati, magistrato lui pure. Di quegli uomini di legge che fanno lo sgambetto a chi sta inseguendo un ladro di pane perche' questi possa scappare e che sono felici di stringere amicizia, tempo permettendo, con un regista di nome Tony Richardson che, seppur nato due secoli dopo, di giardini se ne intendeva.

   Ora che ho ricevuto dal comune della mia citta', in "adozione verde", un rettangolo abbandonato di alberi ed arbusti, non mi resta che andare a scuola da questi due personaggi e cercare di fare del mio meglio per trasformare cio' che e' gia' bellissimo in qualcosa di altrettanto bello.

   Una cosa affascinante e' successa una delle volte in cui sono andato a vedere il boschetto che posso dire qui dove si parla di Tom Jones. C'e' una chiesa accanto, di quelle che giustappongono, anziche' declinare, le forme piu' belle nate dal felice incontro tra un programma liturgico secolare ed i grandi architetti contemporanei. Sono entrato. Non c'era nessuno. Formelle didascaliche alle pareti, un tetto improbabile ed un ambiente, un unica grande camera... che mi ha fatto fermare. Una chiesa buona. Pensavo al rettangolo verde li' accanto, alla chiesa ed al quartiere. L'architetto aveva vinto. Io non vedevo piu' la chiesa perche' era una chiesa che scompariva e diventava la sua pace. L'avevo provato altre volte, ma mi vergogno, ora, a dire i nomi degli architetti meravigliosi di quelle chiese meravigliose.

   Il fatto e' che siamo in un quartiere popolare, schiacciati da 6 parallelepipedi di cemento marrone totalmente fuori scala e li' comincia un luogo sacro e li' comincia il mio lavoro. Mah... affido dunque a Tom Jones il mio spirito, a quanto di piu' sacro possa esserci in territorio laico, unico in grado di dialogare con il sacro che gli dimora accanto.

Libereso salta sugli alberi e via, chi lo prende piu' .76

Lui e' Libereso Guglielmi. A parte essere stato l'apprendista botanico del papa' di Italo Calvino, ha lavorato a Londra proprio a 200 metri dal mio College, nel giardino splendido di E. A. Bowles a Myddelton House. Ecco perche' mi e' simpatico. Ricordo una passeggiata ed il fascino della serra... e pensare che Libereso visse proprio al primo piano con l'affaccio sulla serra... Non potevo non andarlo a conoscere e cosi' mi ha regalato dei disegni colorati di piante e non.

   E' un uomo molto forte e molto dolce, come tutti gli uomini forti. Sua moglie e' una donna molto bella che "... non avresti riconosciuto, con il giubbotto di pelle, sulla sua lambretta, quando mi venne a prendere al lavoro la prima volta."

   La pineta scendeva dalla villa Calvino ed i bambini salivano sul primo albero e via, di ramo in ramo, di albero in albero, correvano nell'aria fino al mare. Ecco perche' erano rampanti.

   La stagione in cui l'Italia avrebbe potuto diventare produttrice di alberi da frutta esotici si interruppe con la fine delle ricerche di Calvino padre e cosi' nel giardino della villa che era stato il centro di acclimatamento per piante esotiche di San Remo resta l'edificio della villa.

   La speculazione edilizia mi colpi' per quella riga che Italo Calvino scrive a proposito della madre che guarda il giardino nel quale tutto stava cambiando, ormai molto anziana, giunta a quell'eta' in cui un'offesa ad una pianta ha lo stesso impatto di un'offesa alla vita nella sua interezza.

   E gia', il giardino andava difeso, ma quel "... belin di Italo ha venduto tutto". Come forzare uno scrittore a tenere insieme le fila di un discorso che lo aveva visto estraneo fin dalla tenera eta' e poi, diciamocelo, la scelta di scrivere anziche' continuare la tradizione di famiglia ha portato frutti che tutti noi abbiamo avuto e continueremo ad avere la gioia di assaporare.

   Dalla sua terrazza Libereso guarda il giardino di casa come da Villa Adriana l'imperatore guardava il teatro dei luoghi attraversati dai quali le forme orientali erano state fatte entrare nella rude architettura romana con la forza di un profumo che ti scioglie le membra e ti ritrovi gia' nella tiepida acqua di una morbida vasca di marmo. L'Erythrina crista-galli ha il fiore che porta in Brasile, in Uruguay, Paraguay ed anche in Argentina, di ramo in ramo, senza scendere dall'albero.

come seta .75

Tre nuovi strumenti fondamentali per il giardiniere sono entrati nella borsa degli attrezzi: una silky saw o "sega di seta", un troncarami per rami fino a 4cm di diametro ed un paio di forbici. Sono le mitiche forbici da giardino Felco No.2, con il manico rosso e la struttura in alluminio. Le ho cercate per mesi finchè non ho scoperto che nella mia citta' c'è un importatore, tre giorni fa. Sono oggetti che mi incutono un certo rispetto, ora, visto che il timore verso di essi l'ho gia' provato un paio di anni fa, perchè con l'uno e l'altro, tranne per fortuna che con il troncarami, mi sono tagliato. Da allora avevo cercato le Felco ed in particolare le famose No.2 perche', essendo le forbici da potatura dei giardinieri della luminosa tradizione inglese, non possono nuocere a chi le tiene in mano, sono dei talismani.

   Non so veramente da che parte cominciare in giardino... lo chiamo con il suo nome generico. Userò il troncarami come un rabdomante, tenendolo ben aperto così da farmi guidare in una qualche direzione e poi, trovato un arbusto un po' troppo cresciuto, comincerò da lì, magari dai Cornus sanguinea 'Winter Beauty', così belli quando tagliati alla base, non piu' di 10cm da terra, nel tardo inverno/prima primavera quando hanno tutto il tempo di crescere in fusti sottili, verticali e snelli, e senza foglie il successivo inverno prendono il colore arancione-rosa per il quale Anglesey Abbey è il famoso winter garden.

   E' davvero una scoperta un giardino d'inverno. Quasi più bello che in primavera e sicuramente più affascinante che d'estate. E' chiaro, bella scoperta, che d'estate un giardino e' come mangiare un gelato, ma una volta diventati grandi il gelato non e' tutto. Si tratta di accostamenti singoli di poche strutture e pochi colori nel freddo e nel blu della sera che scende, quando ancora e' pomeriggio ed il tè è caldo.

   Una parte del giardino potrebbe diventare tale. Devo solo vedere se ci sono abbastanza cornioli già accostati così che l'effetto di fiamma nel verde-blù dell'erba risulti importante. Potrei comunque trapiantarli, è vero, per avvicinarli dalle loro disparate posizioni, ma mi sembrerebbe di forzare un po' troppo la natura del giardino... non che questo luogo ne abbia una, visto che è piuttosto il risultato impacciato di un progetto superficiale, ma queste piante hanno già una loro posizione e se comincio a spostarle allora dove se ne va l'interesse? Dove il limite in cui trovare un senso? Come il giardino giapponese comincia da un ostacolo, un sasso, una goccia d'acqua, il mio giardino potrebbe cominciare da questa sua forma impacciata, tanto non c'è nessun committente... è un giardino pubblico fatto da un privato senza committenza, quanto di più aereo. Mi piace.

   I giardinieri giapponesi hanno splendide forbici da giardino, battute a mano e brunite con le quali fanno splendidi origami, piegano, tagliano, ripiegano e poi stendono davanti agli occhi la sorpresa verde. Non riesco a vedermi tale. Sono europeo e non riesco ad avere né la pazienza né l'intimo pudore di muovermi tra le piante come tra spiriti sacri. Le piante mi circondano e mi trovo in un luogo di luci, ombre e colori, forme piu' per un teatro che per un tempio ed anche se la Natura e' un Tempio, i Pilastri Viventi sono per me nulla più che semplici compagni di viaggio. Gli spiriti non se ne avranno a male e saranno contenti del mio accarezzarli con strumenti di seta senza accorgermene. Scendete sulla terra a scoprirla e poi ne parliamo insieme!

   A questo servono i giardini, semmai dovessero servire a qualcosa, a far cominciare il dialogo tra i nostri limiti e le nostre aspirazioni, tra l'invisibile e ciò che ci sta davanti, così che ogni lato sia illuminato dalla stessa luce.

eureux/felice .74


Joachim Du Bellay (1522-1560)
Heureux qui, comme Ulysse, a fait un beau voyage

Heureux qui, comme Ulysse, a fait un beau voyage,
Ou comme cestuy-là qui conquit la toison,
Et puis est retourné, plein d'usage et raison,
Vivre entre ses parents le reste de son âge!


Quand reverrai-je, hélas, de mon petit villane
Fumer la cheminée, et en quelle saison

Reverrai-je le clos de ma pauvre maison,
Qui m'est une province, et beaucoup davantage?

Plus me plaît le séjour qu'ont bâti mes aïeux,
Que des palais Romains le front audacieux,
Plus que le marbre dur me plaît l'ardoise fine:

Plus mon Loir gaulois, que le Tibre latin,
Plus mon petit Liré, que le mont Palatin,
Et plus que l'air marin la doulceur angevine.


Georges Brassens (1921-1981)
Heureux qui comme Ulysse

Heureux qui comme Ulysse
A fait un beau voyage
Heureux qui comme Ulysse
A vu cent paysages
Et puis a retrouvé après
Maintes traversées
Le pays des vertes allées

Par un petit matin d'été
Quand le soleil vous chante au cœur
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Quand on est mieux ici qu'ailleurs
Quand un ami fait le bonheur
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Avec le soleil et le vent
Avec la pluie et le beau temps
On vivait bien contents
Mon cheval, ma Provence et moi
Mon cheval, ma Provence et moi

Heureux qui comme Ulysse
A fait un beau voyage
Heureux qui comme Ulysse
A vu cent paysages
Et puis a retrouvé après
Maintes traversées
Le pays des vertes allées

Par un joli matin d'été
Quand le soleil vous chante au cœur
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Quand c'en est fini des malheurs
Quand un ami sèche vos pleurs
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Battus de soleil et de vent
Perdus au milieu des étangs
On vivra bien contents
Mon cheval, ma Camargue et moi
Mon cheval, ma Camargue et moi

...
Gia'... e cosi' scopro come la canzone di Brassens nasca da un testo del '500. E Ulisse che ritorna a casa. Che buona sorte. Che fortuna. Che bella liberta'. Un po' assopiti dal tepore di casa, un po' senza piu' battaglia, un po' meno avventura, a chi appartiene quel passato e quante cose sono avvenute che quasi e' una vita di un altro? Mah... La persuasione viene a galla nel cuore ed e' una grande fortuna poter rientrare al porto di casa.

drifting .73

Saluto il Bosco spostandolo dalla pagina d'apertura a questo post, lasciandogli accanto i disegni e le fotografie dell'intorno cosi' che possa drifting, allontanarsi come fanno i continenti o andare senza meta, scivolare, quasi, stando nel luogo in cui era nato e da cui non era sceso sulla terra. Questo luogo e' il Fantastico, da cui il Bosco non si e' staccato se non per perfezionarsi in altro e farsi un po' piu' maturo, aereo, un po' piu' di cristallo.

   Un giardino di cristallo come il volto fatto di cristallo che Picasso aveva disegnato sui tratti di Eluard nel quaderno di poesie in cui il poeta prendeva un nome diverso perche' erano gli anni bui dell'Europa. E' questo il dono delle cose immaginate, il dono di fare maturare un'urgenza interiore fino a precisarla oltre il fattibile cosi' che, quando riesce a fermarsi sulla terra la si vede in trasparenza.


   Quel ritratto e' bellissimo: il naso storto di Eluard esce dalla vergogna delle prime fotografie sempre di tre quarti e, negli spigoli del cristallo che il poeta era diventato in quegli anni, la curva del gene si moltiplica nelle pieghe in cui non c'e' piu' niente da guardare, solo mille lievi movimenti della luce, senza riflesso, nello spessore di una superficie che ha solo la densita' delle cose viste e tempo. Volto atto a riscaldare, gia' paesaggio, voce che chiama e pomeriggi.

   Ero in Erasmus a Grenoble e la dolcesevera libraia superlesbica che mi faceva scoprire le prime edizioni dei surrealisti era diventata la tappa di sogno del mio primo vero drifting dall'universita' veneziana. La seconda tappa era la sala da te' tunisina dove entravo infreddolito ed uscivo fritto nell'olio insieme a quei dolci pesantissimi... caro il vecchietto che mi serviva! 

   Come si vede tutto questo potrebbe diventare una bella storia, corretta e piana, se intorno ci fosse gia' il bisogno di "tutto questo". Dubito, davvero, che in tempi brevi questo bisogno si formi, perche' sento bene la troppa arretratezza. Il dubbio pero' mi piace quando e' un semplice strumento, non quando si incaglia nel bisogno di aver ragione sulle cose. Strumento come puo' essere la bussola o la vanga ed e' li' che diventa un tappeto volante ed allora scorre via e fa. Perche' l'unica verita' e' che una cosa viene fatta oppure no, viene immaginata oppure no, viene necessitata oppure no e su quel si' e quel no cominciano due storie diverse.

   E allora chissa' che il piccolo rettangolo non sappia come si diventi un giardino di cristallo. Il nome, poi, mi piace un sacco... lo so, lo sto gia' chiamando cosi'.

mmh... .71

Un filtro di arbusti verso il rettangolo, sfoltendo gli esistenti troppo alti e troppo legnosi, dando cosi' vita ad un crescendo... oppure un bordo di graminacee, altro, totalmente altro dal bosco, ma meraviglia di astrazione... sfoltire certo di un terzo i Cornus sanguinea 'Winter Beauty' che diventino del loro arancione-rosa per risuonare cosi' con il marron ed il grigio... anche piantare un Prunus serrula la cui corteccia, quando tutto intorno e' marron e grigio, si fa ancora piu' rossa e metallica, cosi' liscia e lucida "to kiss" come ci insegno' una giovane studentessa ad Anglesey Abbey... 

   Il rettangolo e' un giardino dove chi vuole puo' entrare e chi non vuole puo' imparare a farlo. Ci sono spine perche' ci sono archi di bacche rosse della Rosa canina. Un giardino boschivo e selvatico dove gli ellebori, forse, cresceranno come ogni giardino di zia che si rispetti e pure i crochi, quei fuochi blu che vengono dal terreno come tante fiammelle. Potrebbero esserci anche i galanthus nivalis, che bucano davvero la neve e mostrano come l'inverno sia il prologo dell'estate, quando gia' si annuncia di che cosa si parlera' e la sorpresa non fa in tempo a scemare, tale e tanto e' il racconto.

   A parte queste due o tre certezze, che cosa fare con il rettangolo e' tutto da vedere: le piante sono tante e fitte, ma contate ed entro uno spazio di non grandi dimensioni. Un giardino da scolpire, non mi viene in mente che questo, perche' la scultura e' l'arte del togliere. Sono molto curioso e pregusto gia' il piacere del freddo sulle mani bagnate dalla pioggerella di un primo pomeriggio di Dicembre, il tea nel termos ed il sole dentro i rami.

il sacro bosco .70

Quando si pianta un albero si scava una buca di un terzo piu' profonda e piu' larga del vaso in cui la pianta e' stata cresciuta o della zolla di terra nella quale la pianta e' stata trasportata dal vivaio al luogo in cui viene messa a dimora. Il vaso o zolla restera' immerso per un certo tempo in un secchio d'acqua fino al momento in cui tutte le bollicine d'aria non saranno emerse alla superficie garantendo il riempimento da parte dell'acqua di ogni vuoto tra le radici. La pianta allora viene messa a dimora su un letto di stallatico ben macerato che si mescolera' alla terra sul fondo della buca dopo averne smosso la superficie con la forca. Le radici troveranno un terreno morbido in cui ambientarsi. Si badi, quando si pone la pianta nella buca, che il punto di contatto tra il tronco ed il nuovo terreno non risulti ne' piu' basso ne' piu' alto rispetto al livello che aveva nel terriccio del vivaio. Da ultimo, sulla superficie del terreno sara' quindi distribuito stallatico ben macerato intorno al tronco, senza che questo sia toccato dallo stallatico, per evitare che marcisca, dopo che con i piedi sara' stato pressato il terreno intorno alla zolla delle radici.

   Ecco come si pianta un albero, da cui: "One penny for the plant, one pound for the pit", un penny per la pianta, una sterlina per la buca.

   Una Quercus robur in zolla, il cui tronco ad altezza di un metro e mezzo abbia la circonferenza di 70cm, ovvero un altezza di 7 metri circa, ha un costo di 3.500 euro. La buca richiedera' un'attenzione pari a 350.000 euro. L'attenzione, quantificata in euro secondo il tradizionale modo di dire dei giardinieri inglesi, rivela quanto grande debba essere la cura nella messa a dimora di un albero.

   Un Acer campestre di due anni di eta' e dell'altezza di 80cm ha un costo di 80 centesimi: la sua buca ha un valore di 80 euro. Cosi', una siepe selvatica di 100m, a due file di alberi, come quelle delle campagne di 50 anni fa, con le pianticelle messe a 45cm di distanza le une dalle altre, dunque una media di 2 piante per metro lineare a fila, ha una buca del valore di 16.000 euro.

   Piantare una quercia da 353.500 euro ed una siepe selvatica di 16.320 euro crea un giardino di 369.820 euro.

   Questo e' lo scenario quando si cerca di quantificare l'inquantificabile seguendo i detti popolari, quando si mostra il valore che spetta alla "cura del fare", invisibile, immateriale, che non ha un peso cui fare corrispondere un pound, una sterlina, il peso di una quantita' d'oro.

   La siepe, poi, potrebbe essere di forma circolare e la quercia potrebbe essere posta al centro o meglio, appena fuori del circolo, con il vuoto centrale ancora piu' bello perche' libero e bilanciato dal singolo albero piantato nella estensione della campagna.

   Il sacro era per un certo tempo legato alla dimensione dell'avvento, dunque un'esperienza senza quantita', ne' dimora, da dove?, disponibile instantemente e sempre, perche' associato alla disponibilita' dell'ascolto soltanto. Poi nel tempo divenne, perdendosi al carattere puramente esperienziale, qualcosa cosi' altro da potersi definire nascosto ed essere associato con cio' che si cela, lontano gia' dalla vista e dalla mano, allontanatosi, qualcosa gia' quasi un po' piu' materico, chiuso anche, protetto in uno scrigno... intorno al quale, anche, rivendicare un possesso, un punto di forza rispetto a chi non ne detiene le chiavi.

   E' la storia della religione. Ma anche della nostra percezione della natura e del suo valore invisibile. Il valore esperienziale non afferisce al mercato del quantificabile e la cura ha dunque un valore inestimabile e quei 353.500 euro possono decisamente essere considerati un valore inestimabile per una pianta che tranquillamente cresce da una ghianda nel vasetto sul davanzale della cucina, per giunta esposto a nord.

la rose d'une reine .69

Mi viene in mente la canzone Les sabots d'Hélène quando penso al rettangolo verde del Barco, le cui due prime strofe recitano cosi':

Les sabots d'Hélène
Etaient tout crottés 
Les trois capitaines 
L'auraient appelée vilaine 
Et la pauvre Hélène 
Etait comme une âme en peine 
Ne cherche plus longtemps de fontaine 
Toi qui as besoin d'eau 
Ne cherche plus, aux larmes d'Hélène 
Va-t'en remplir ton seau 

Moi j'ai pris la peine 
De les déchausser 
Les sabots d'Hélèn' 
Moi qui ne suis pas capitaine 
Et j'ai vu ma peine 
Bien récompensée 
Dans les sabots de la pauvre Hélène 
Dans ses sabots crottés 
Moi j'ai trouvé les pieds d'une reine 
Et je les ai gardés


Parla degli zoccoli di una ragazza, infangati a tal punto che i capitani avrebbero chiamato villana la fanciulla. Brassens si e' preso cura di quegli zoccoli e vi ha trovato i piedi di una regina.

densita' .68

Densita' della scorciatoia che fa arrivare a vedere prima, quella che le cose viste prendono attraverso il Tempo per diventare le cose che ci si offrono davanti, nuove ed arancioni bacche di Rosa rugosa.

non si scherza .67

Sto attendendo la torta alla zucca che ho imparato a fare ed una torta pasqualina che ho messo nel forno. In cucina gli errori, a parte la lieve bruciatura del caramello o della pasta sfoglia che sono le ciliegine sulla torta, sono dei disastri. Non in Natura, dove gli errori degli uomini nel piantare possono rivelarsi dei gioielli se rigorosamente protratti grazie ad un eccesso di zelo ed all'abbandono.

   Sono stato nel piccolo boschetto che ha sostituito il Bosco e ne ho misurato i 26m x 60m. Mi piacciono questi numeri, piani, pari e sereni come i pioppi che li proteggono, posti in tre filari come ad Hyde Park.

   Siamo al Barco, quartiere considerato popolare le cui case sono dignitose, ma avrebbero potuto essere meglio visto che piu' in qua, entro le mura Giovanni Michelucci aveva lasciato dei progetti. Le case finiscono in una radura che si apre ad un lieve pendio e sale ai pioppi, da lontano in fila e da vicino un rumore di foglie e rami sottili. Lo seguo e guardo in alto, faccio un giro su me stesso e vedo la strada che porta a Padova, le case marron, le porte del campo di calcio nella radura, le erbe selvatiche e ruoto e vedo il lato di 26m, alla fine del canocchiale prospettico dei pioppi. Lo percorro ed entro.

   "Taglierai l'erba, vero?!", "Credo di no." con gentilezza. L'abbandono di alcuni anni ha accarezzato quello che era un eccesso di zelo progettuale intorno ad un'idea di combinazioni vegetali selvatiche, troppo denso per troppo spirito didattico divenuto didascalico, senza spazio e senza tempo futuro. E cio' che si abbandona si riscatta seguendo una logica differente, quella che le e' propria, quella che solo l'osservazione riesce ad apprendere per poi coniugare in un artefatto che abbia spazio e tempo vitali. Le torte invece se le abbandoni si bruciano e la mia di zucca e' uscita ora giusta giusta di mezzora.

   Ecco come inizia il taglio del diamante: guardandolo. E poi lo si sfaccetta togliendo materia che non ha valore se non nella sua eredita' geometrica, nel lascito che la parte scartata rende a cio' che resta. C'e' una sorta di diritto di cio' che viene scartato in cio' che resta, un diritto alla riconoscenza. E' il diritto che il passato affida al presente, grazie al quale il presente e' avvento e propria contentezza. Ed e' proprio questo che mi accingo a fare sfalciando, potando, togliendo anche piante, si, dove l'Alnus glutinosal'ontano, si alza bello di pigne piccole, secche e nere dell'anno prima al bordo del laghetto del tempio buddista tai di Wimbledon. Che bello il meleto, l'erba alta, lo spazio di un metro sfalciato intorno al tronco e cosparso di compost perche' potessero crescere meglio, in fondo al giardino, il vecchio che spazzava, la pioggia, le mele incise in fiori dal signore tedesco ed i cibi portati dalle famiglie, l'ontano e la panchina ed il libro. Questo in 26m x 60m.

   Non si scherza, e' una prospettiva che puo' far cominciare mille giardini, e' quel diritto di meraviglia vissuta che il presente riconosce ad altro prima e sul quale soltanto puo' volare. Non si puo' spiegare, lo si vive e lo si vive ancora se lo si e' vissuto almeno una volta. Pero' lo si puo' comunicare, perche' e' contagioso, si attacca per minimo contatto anche solo della mano nella mano che accompagna. Poi c'e' sempre qualcuno, quando meno te lo aspetti, a ricordartelo.

   La prospettiva dei pioppi mi accompagna, ad entrare ed uscire e misurare le distanze, vedere il sud che da' piu' luce al bordo del tronco dove c'e' una fessura che portera' l'albero a salutare i suoi compagni di viaggio un poco prima e togliamo subito la plastica rossa alla base che proteggeva dal tagliaerba, non ce n'e' piu' bisogno.

la curva della scrittura .66

La vita si sa, sorprende. Quello che un giorno sembra sicuro, il giorno dopo sfuma ed a sfumare e' il Bosco. Chi ne ha seguito fin qui l'avventura non se ne dispiaccia o meglio se ne dispiaccia, ma solo un poco perche' gli alberi sono sempre alberi, non hanno paura di nulla e dunque considerano le cose quali possibili: dove il seme cade, li' probabilmente nasce una pianta. E la sorpresa puo' essere grande.

   L'area era stata concessa lo scorso anno ad un'impresa e per un inciampo nella comunicazione burocratica non si e' saputo nulla fino ad oggi.

   Dico: "non se ne dispiaccia" perche' seppure l'affetto era grande per quel luogo e per quel progetto, una nuova area e' apparsa disponibile, questa mattina, simile a quello che nell'arco di 5 anni il Bosco sarebbe diventato. E' come se nell'attimo stesso in cui io stavo per cominciare a piantare, un'accelerata temporale inattesa mi avesse portato gia' nel luogo fisico immaginato, che solo cinque, dieci anni di paziente attesa mi avrebbero regalato, riconducendomi alla ragione prima del mio voler creare un bosco: creare un rifugio per la biodiversita' da accompagnare fino al suo climax e garantire, solo allora, le condizioni di durata della ricchezza raggiunta.

   E' uno spazio selvatico abbandonato di cespugli ed alberi vicino a case e ad un piccolo parco pubblico, un luogo che potrebbe diventare un bellissimo giardino boschivo ovviamente e la cosa mi affascina. C'e' gia' dunque, non nasce da un mia idea. Io vengo dopo, a difenderne la vocazione di rifugio della biodiversita' che anni di abbandono hanno portato al suo apice, laddove la ricchezza biologica ha raggiunto un punto di equilibrio in cui rischia di essere sbilanciata ed impoverirsi per stanchezza di alcune specie e forza di altre, laddove la tensione di tante presenze deve essere accordata, spaziata, intervallata dai raggi del sole e mantenuta tale, mantenuta tensione vitale, scrittura che trattiene la sua linea di caduta.

   Non si dispiaccia dunque chi ha seguito fin qui l'avventura del Bosco perche' dal desiderio di creare un rifugio per la biodiversita' mi ritrovo condotto in un disegno delle pagine di un libro di Gilles Cle'ment, un qualsiasi margine stradale abbandonato, intervallo tra linee della metropolitana, area industriale dismessa... mi ritrovo, manco farlo apposta, la' dove il designer si veste da giardiniere e chiede: "Posso entrare?" 

   Volevo un tavolo su cui scrivere che avesse una patina di secoli ed allora mi sono messo a cercare il legno adatto da tagliare ed aspettare. Ho trovato in una cantina un tavolo antico, si sa, come un violino. Ora posso cominciare a scrivere.

vicini al Bosco .65

Un poco piu' vicini al Bosco il cui progetto e' piaciuto agli uni ed agli altri che dai loro uffici hanno gia' voglia di andarci a passeggiare.

   Quasi un bosco da guardare piu' che da attraversare, perche' sono solo 50 metri per 70... ma molto densi: un grande thicket, come quelli delle favole, da guardare da lontano perche' dentro ci sono le streghe, come quelli di Hampstead Heath a Londra, pero' in scala piu' grande, cosi' le streghe stanno un po' piu' a loro agio.

   Un thicket e' un addensamento di specie vegetali diverse in una radura e nel parco della mia citta' se ne puo' trovare uno. Chissa' come ha fatto a rimanere li': un gruppo di tre, quattro alberi ed arbusti, piu' qualche rampicante, probabilmente arrivati con il vento e mai tagliati, alle volte calpestati e spezzati, ma mai estirpati, dunque cresciuti senza alcun disegno, anzi piu' sono spezzati piu' la crescita, che mai si ferma, e' degna di essere ritratta in pittura.

   Il pittoresco che tanto faceva impazzire nella seconda meta' del settecento i giovani giardinieri punk ribelli all'ordine dei giardini loro contemporanei... giardini stupendi che oggi chiamiamo "all'Inglese" e che erano fatti di alberelli di 3-4 metri allora, ma troppo puliti ed artificiali per quei giovinastri.

   Sarei stato forse anch'io della loro banda?! Dubito mi sarei reso conto di cio' che stava succedendo, forse perche' gia bell'e morto di qualche malattia strana presa nei viaggi in giro qui e la'. Non avrei fatto in tempo, non si puo' mica fare tutto!

   Il pittoresco del disordine verde e marron, odoroso di foglie bagnate e tronchi spezzati -che fanno il piu' buon profumo io abbia mai sentito- reagiva a quegli alberelli che sorgevano come ombrellini sopra tovaglie di velluto verde dove il duca poteva anche vedere le sue mucche pascolare.

   I giovinastri forse non avevano la pazienza di immaginare quello che il meraviglioso Capability Brown aveva negli occhi. Forse trecento anni dopo gli ombrellini si sarebbero levati maestosamente sulle loro radici e avrebbero raccontato una storia tutta diversa, fatta di rami spezzati dal vento di 300 anni, radici scoperte sulle quali bimbi fanno lo scivolo e la loro densita', non piu' isolata in gruppetti di 5-6 alberelli, ma divenuta un'unica ombra profumata.

   Allora comunque sarei stato anch'io con loro. Era troppo la tentazione di un ritorno ad una natura non ammaestrata con le violenze che essa stava subendo. Quei ragazzi forse avevano un'immaginazione molto piu' buona di quanto ho pensato e forse non vedevano gli alberi gia' grandi di qualche secolo perche' troppo occupati a vedere i boschi vaporizzarsi nell'aria nera di Londra.

   Tutto li', in un thicket. Da guardare perche' troppo denso e poi, chi ci vuole entrare, troppi rovi e poi e' cosi' bello da guardare nella distanza, "... mi ricorda un bosco".

   Una chiesa in una pozzanghera, riflessa, un bosco da lontano, una maquette di una casa dentro la navata di una abbazia medievale senza tetto sono tutte cose che fanno cominciare qualcosa. Credo sia stato questo fascino delle cose grandi e la loro possibile raffigurazione in scala diversa a far nascere l'idea del bosco. Altrimenti come potrebbe sorgere un bosco sopra un fazzoletto di terra?!

"garden me" / A writing about a wished frontier for the natural gardening

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Ecological Planting Design

Ecological Planting Design

Drifts / Fillers (Matrix) / Natural Dispersion / Intermingling with accents/ Successional Planting / Self seeding
What do these words mean? Some principles of ecological planting design. (from the book: "A New Naturalism" by C. Heatherington, J. Sargeant, Packard Publishing, Chichester)
Selection of the right plants for the specific site.
Real structural plants marked down into the Planting Plan. The other plants put randomly into the matrix: No. of plants per msq of the grid, randomly intermingling (even tall plants). Succession through the year.
Complete perennial weed control.
High planting density. Close planting allows the plants to quickly form a covering to shade out weeds.
Use perennials and grasses creating planting specifications that can be placed almost randomly.
Matrix: layers (successional planting for seasonal interest) of vegetation that make up un intermingling (random-scattering) planting scheme: below the surface, the mat forming plants happy in semi-shade, and the layer of sun-loving perennials.
Plants are placed completely randomly: planting individual plants, groups of two, or grouping plants to give the impression of their having dispersed naturally. Even more with the use of individual emergent plants (singletons) that do not self-seed, dispersed through the planting.
An intricate matrix of small plants underscores simple combinations of larger perennials placed randomly in twos or threes giving the illusion of having seeded from a larger group.
The dispersion effect is maintained and enhanced by the natural rhythm of the grasses that give consistency to the design. They flow round the garden while the taller perennials form visual anchors.
Allow self-seeding (dynamism) using a competitive static plant to prevent self-seeders from taking over: Aruncus to control self-seeding Angelica.
Sustainable plant communities based on selection (plants chosen for their suitability to the soil conditions and matched for their competitiveness) and proportions (balance ephemeral plants with static forms and combinations such as clumpforming perennials that do not need dividing: 20% ephemeral, self-seeding plants, 80% static plants) of the different species, dependent on their flowering season (a smaller numbers of early-flowering perennials, from woodland edges, which will emerge to give a carpet of green in the spring and will be happy in semi-shade later in the year, followed by a larger proportion of the taller-growing perennials which keep their form and seed-heads into the autumn and the winter).
Year-round interest and a naturalistic intermingling of plant forms.
Ecological compatibility in terms of plants suitability to the site and plants competitive ability to mach each other.
Working with seed mixes and randomly planted mixtures.
Perennials laid out in clumps and Stipa tenuissima dotted in the gaps. Over the time the grass forms drifts around the more static perennials and shrublike planting while the verbascum and kniphofia disperse naturally throughout the steppe.
Accents: Select strong, long lasting vertical forms with a good winter seed-heads. Select plants that will not self-seed, unless a natural dispersion model is required.
Planes: if designing a monoculture or with a limited palette, more competitive plants may be selected to prevent seeding of other plants into the group.
Drifts: to create drifts of naturalistic planting that are static in their shape over time use not-naturalizing, not self-seeding, not running plants.
Create naturalistic blocks for the seeding plants to drift around. For the static forms select plants that do not allow the ephemerals to seed into them.
Blocks: use not-naturalizing species, in high densities, in large groups.
Select compatible plants of similar competitiveness to allow for high-density planting (to enable planting at high density in small gardens).
Achieve rhythm by repeating colours and forms over a large-scale planting.