i pregiudizi del bosco .218

Ricordo quando noi, studenti di architettura seri, sorridevamo al fatto che le studentesse di legge stessero sui libri con gli evidenziatori alla mano. Fino al momento in cui non mi innamorai di un'appassionata di diritto costituzionale che ne usava 5.

  Anche in ambito botanico i pregiudizi non reggono e seppure il suo codice del colore mi sfugga mi fido del signor gigante-buono-Marco che nella messa a dimora degli alberi al Bosco Claudio Abbado segue una mappa su cui ne ha usati 4.

i nomi del bosco .216



Acer campestre, acero campestre
Alnus glutinosa, ontano
Corylus avellana, nocciolo
Cotinus coggygria ‘Royal Purple’, sommacco selvatico
Cydonia oblonga, melocotogno
Euonymus europaeus ‘Red Cascade’, evonimo
Fraxinus angustifolia ‘Raywood’, frassino meridionale
Malus domestica ‘Abbondanza’, melo
Malus domestica ‘Durello’, melo
Mespilus germanica, nespolo
Parrotia persica, parrotia
Prunus persica ‘Platicarpa’, pesco
Punica granatum, melograno
Pyrus communis ‘Giugnola’, pero
Pyrus communis ‘Moscatello’, pero
Quercus robur, farnia
Rosa canina, rosa canina
Sambucus nigra, sambuco
Ulmus minor, olmo campestre
Viburnum opulus, viburno


come nasce il bosco Claudio Abbado a Ferrara .214


Penso a “La grande zolla” di Albrecht Dürer

Siamo nel 1503 ed il 32enne Dürer acquerella una porzione di campo di erbe selvatiche.
Un paio di anni dopo, nel suo secondo viaggio in Italia, Dürer e' a Ferrara dove visita il cantiere della cinta fortificata di Biagio Rossetti. Sta raccogliendo elementi per uno studio sulla difesa delle citta' che sviluppera' negli anni successivi fino alla pubblicazione di un trattato nel 1527 con il titolo:
Alcune istruzioni sulla difesa della città, delle fortezze e dei borghi.

E' un trattato scritto per difendere.

L'arte della guerra era cambiata radicalmente con la comparsa delle armi da fuoco; quasi divenuta una disciplina sconosciuta per la prima volta dopo secoli.
Le armi da fuoco allontanano il contatto fisico e portano con se' l'invisibile e il rumoroso. La valenza psicologica della paura per qualcosa di invisibile e rumoroso davanti a se' e' paralizzante.

Il comparire di questi fattori psicologici sconosciuti si accompagnava ad un'altra scoperta: la struttura degli apparati difensivi delle citta', le mura, si rivelava improvvisamente inadeguata.
Le alte mura non erano piu' utili a nessuno: il colpo di cannone non arrivava molto in alto, ma era terribilmente potente come nessun ariete era mai stato. Un colpo basso, distruttivo cui non si puo' opporre altra resistenza al di fuori dell'attutirlo, assorbendolo nella massa muraria, una resistenza che magari puo', nel migliore dei casi, anche schivare il colpo. Le mura dovranno essere relativamente basse, molto spesse e possibilmente seguire una linea spezzata atta a schivare i colpi. Occorreva trovare una forma nuova, una forma adatta.

Di questa forma ragionano il duca d'Este e il suo architetto Rossetti ed e' questa forma che il giovane Dürer giunge a studiare nel cantiere delle nuovissime fortificazioni di Ferrara.


Un uomo di 32 anni cammina in un campo di fiori selvatici, preleva una zolla dal terreno e la porta nel proprio studio per ritrarla.

Dürer sceglie quanto di piu' delicato ci sia, dei fili d'erba e allo stesso tempo (forse allora solo vaga idea) coltiva nella propria mente uno studio dedicato al difendere le citta'.

Questo fa slittare l'acquerello ben oltre il virtuosismo di uno studio dal vero.

Dürer riesce a tenere insieme due mondi cosi' distanti: fili d'erba e fortificazioni; forse cio' che ci e' caro si tiene in un'unica tensione con cio' che e' in grado di difenderlo.

I tempi di Dürer necessitavano di nuove difese delle citta'; questa e' stata la sua urgenza al punto da dedicarvi una porzione della propria vita. Erano tempi certo non sospetti di crisi ambientale eppure contemporaneamente alla presenza di quell'urgenza, dei fragilissimi fili d'erba diventano il suo acquerello piu' alto.

Cio' di cui parla quel piccolo rettangolo di pergamena di 31cm per 40cm e' un senso profondo della bellezza colta da un'intelligenza capace di coniugare il verbo proteggere ad ogni scala, dalla piu' piccola alla piu' grande.

Ed e' questo che rende l'acquerello di Dürer vicino a noi piu' di quanto immaginiamo.

"La grande zolla" ci parla di uno stato d'animo sospeso, a meta' tra il senso della fragilita' e l'urgenza del difenderla; uno stato d'animo cosi' presente e diffuso in noi che bastano dei fili d'erba perche' esso affiori. Noi abbiamo bisogno di difendere qualcosa che si e' esteso oltre le mura delle citta', qualcosa che coinvolge l'intero ambiente in cui viviamo: la nostra urgenza e' diventata un tutt'uno con l'idea stessa di Ecologia.


Come progettista mi concentro sui tratti dell'acquerello e cerco di capire che cosa mi trattiene ad esso.

... Credo sia qualcosa di relativo all'ordine di quei fili d'erba.

E' l'ordine poco ordinato dei campi di fiori selvatici in cui ritrovo le condizioni in cui io sto bene; l'ordine poco ordinato in cui ritrovo la mia idea di equilibrio ecologico. Questo ordine e' la cifra attraverso la quale "La grande zolla" diviene la rappresentazione piu' adeguata di tale idea.

Mi domando se la rappresentazione di un'idea possa riuscire a difendere quella idea stessa.

La storia del giardino e' la storia del continuo avvicendarsi di forme che hanno rappresentato le urgenze particolari di chi li creava. Quanto piu' si e' formata una coerenza tra l'urgenza e la forma che la rappresentava, tanto piu' il giardino e' stato in grado di avere un significato e durare.

Se c'e' coerenza tra urgenza e forma, la rappresentazione di un'idea puo' difendere l'idea stessa.

Quale forma puo' rappresentare al meglio la nostra urgenza? Quale idea di forma e di ordine abbiamo quando immaginiamo un parco?


Ancora davanti all'acquerello

Se "La grande zolla" e' la rappresentazione piu' adeguata della mia idea di natura, forse la sua caratteristica compositiva: quell'ordine poco ordinato, puo' diventare strumento stesso del progettare.

La Natura ci offre l'opportunita' di entrare in contatto con una bellezza le cui forme non sono riconducibili ad una consueta idea dell'ordine in quanto sono dettate dalle logiche che le piante seguono. Le piante quando vengono lasciate libere di svilupparsi spontaneamente formano comunita' vegetali di grande ricchezza. Occorre farsi mimetici di tali paesaggi.

Occorre imparare a disegnare non calandosi sul foglio dall'alto, ma tracciando la matita sulla carta come se si stesse seguendo il proprio passo che si avvicina al tronco di un albero e ne segue la chioma immaginandola fra venti, quaranta, cento anni... che cosa succedera' quando il sambuco si appoggera' alla quercia fra tre anni? Quasi che il progettare fosse la descrizione di un qualche luogo visto chissa' dove, chissa' quando, in cui siamo stati bene (questi sono i paesaggi sedimentati, sfuggiti al controllo della progettazione di altri, cento, duecento anni prima, dove il parco, uscito dal disegno, si e' restituito alla Natura piu' ampia e la sua vegetazione all'ecologia).

Il rischio di non ascoltare l'urgenza dell'ecologia e' che i parchi delle citta' in cui viviamo non rappresentino piu' nulla per nessuno. Il rischio e' che il paesaggio vegetale urbano si moltiplichi in forme intorno alle quali non riesce a formarsi alcun senso di condivisione proprio per il fatto che tali forme non difendono cio' che ci e' piu' caro. E se la condivisione si indebolisce ad indebolirsi e' il senso stesso di comunita' che su di essa si tiene.

Il giardino piu' adatto a rappresentare la nostra urgenza sara' un giardino in grado di farsi mimetico di comunita' vegetali esistenti, un giardino capace di informarsi alle logiche delle specie vegetali.


Come nasce il progetto del Bosco Claudio Abbado?

Occorre introdurre tre nozioni apprese durante gli anni di studio in un college di Londra.
1'-Dall'arboricoltura: area di bosco volontariamente abbandonata; un'area di sperimentazione temporanea al fine di studiare il destino di gruppi vegetali esistenti lasciati in stato di abbandono volontario.
2'-Boschi urbani: aree abbandonate divenute boschi, gestiti dal LWT.
3'-Gilles Clément, rifugi di biodiversita': aree urbane non coinvolte dal mercato edilizio o dalla rete infrastrutturale che vengono popolate da una grande varieta' di specie vegetali.
Queste tre esperienze mettono in luce un fenomeno: l'apice di biodiversita'.

Bisogna introdurre il significato di Successione Ecologica, il fenomeno secondo il quale le specie vegetali, nel loro colonizzare un terreno vergine, si succedono nella lotta all'approvvigionamento di luce, acqua e sali minerali: da un primo stadio in cui i muschi e i licheni fanno da pionieri, si passa attraverso i vari stadi intermedi delle erbe, delle erbacee perenni e degli arbusti fino ad uno stadio finale in cui la foresta prende forma con le sue specie arboree dominanti.

Nel corso di tale successione il grado di ricchezza della biodiversita', ovvero la ricchezza della varieta' delle specie animali e vegetali presenti, non e' sempre lo stesso, cresce fino a raggiungere un picco. Questo picco e' l'apice di biodiversita', ovvero il piu' alto grado di varieta' delle specie vegetali ed animali presenti in un dato luogo. Questo stadio corrisponde ad un insieme di erbacee perenni, arbusti ed alberi simile a cio' che si trova nei margini boschivi, vale a dire nei primi 20 metri che uniscono il bosco alla campagna, la fascia del bosco piu' ricca di luce e di aria.

Tale apice di biodiversita' e' uno stadio passeggero; il livello di biodiversita' nel tempo comincia ad impoverirsi (per dominanza di alcune specie su altre) fino a raggiungere una certa condizione di stabilita'.

Se si permette alle piante di svilupparsi secondo le proprie logiche, concedendo loro di formare proprie comunita' vegetali, gli spazi verdi riescono a generare autonomamente il massimo livello di biodiversita' al proprio interno.

E' interessante chiedersi se non si possa creare uno spazio vegetale in grado di raggiungere in un tempo relativamente breve tale apice di biodiversita' e se, una volta raggiunto tale stadio, non si possa mantenerlo stabile nella sua ricchezza.


Il Bosco Claudio Abbado si propone come questo tipo di paesaggio.

Una fascia di margine boschivo della superficie di 26 metri per 40 metri e' stata immaginata come una unita' di paesaggio capace di tradurre in ambito urbano la qualita' ambientale di un bosco. Il Bosco Claudio Abbado combina due di tali unita' per uno sviluppo di 80 metri andando ad insistere lungo il margine piu' sensibile di Ferrara dove il quartiere residenziale Barco entra in tangenza con l'area industriale a Nord Ovest della citta'. Un bosco lineare di 80 metri capace di coniugare la valenza di mitigatore ambientale, espressa da un'alta densita' di piantumazione, con la vocazione di parco pubblico garantita dall'alta permeabilita' dei percorsi pedonali che ne attraversano la larghezza di 26 metri.




L'immaginario del bosco

L'immaginario del bosco per un intervento paesaggistico in ambito urbano e' sicuramente una suggestione emotiva. Una suggestione pero' che si e' approfondita nella comprensione delle dinamiche ecologiche del bosco. Conoscendo a poco a poco la grammatica e la sintassi del bosco si giunge a scoprire che esiste un principio fondamentale in cui dimora la qualita' di un bosco: la densita' di piantumazione ovvero la quantita' e la distanza relativa delle piante che lo compongono. Questo principio presiede alla qualita' del bosco indipendentemente dalle dimensioni di esso: "grande bosco" o "piccolo bosco" non importa dal momento che si e' conosciuto la cifra compositiva che ne presiede la qualita'. Veicolato nel progetto, tale principio compositivo consente di proporre la qualita' del bosco a diverse scale di intervento permettendo allo spazio urbano di accogliere brani di paesaggio di grande ricchezza.


Il bello e' che tutto cio' e' contagioso

Come la bellezza de "La grande zolla" da cui il Bosco nasce, questa bellezza un po' selvatica puo' diventare consuetudine visiva e i suoi principii patrimonio comune e allora un ordine un po' meno ordinato puo' spingersi un po' piu' in la', uscire dal rettangolo verde del Bosco Claudio Abbado ed entrare nei nostri giardini ad arricchire i frammentati spazi privati per trasformarli in un'unita' piu' grande. Se infatti immaginiamo di guardare dall'alto la citta' di Ferrara, con la fortuna di poter vedere come gli uccelli, non ci curiamo piu' dei muri tra giardino e giardino; cio' che vediamo e' un unico giardino grande quanto l'intera citta'.

welcome wood .213


Il giorno 21 Novembre sara' presentato il progetto del Bosco Claudio Abbado al Ridotto del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara dove l'inverno scorso l'idea del bosco era stata presentata per la prima volta.

  Gli alberi... e' stupefacente come gli alberi abbiano il potere di permeare i bisogni come fossero altrettante risposte, un potere sottile in grado di innescare il consenso tra diverse persone, diversi interessi e profili umani per un accordo costante, tenace, d'affezione ad un'idea.

Happy.

Vivai Guagno .212

Il vivaio Guagno dove crescono querce, olmi, ciliegi, ontani dai molti tronchi e' a Comacchio.

  Sono i luoghi che di ritorno da Venezia andavo a visitare. C'era Anita li' vicino nella sua desolazione del pomeriggio di nebbia: in macchina andavo a conoscere il territorio, a perdermi sempre piu' fino a che la nebbia non diventava l'acqua davanti della valle. Li' c'erano gli Etruschi. Ora penso agli alberi e non mi importa piu' della nebbia.

  Mi sono perso per andare da Guagno esattamente come allora. Una strada, certo, un indirizzo, ma tu non ricordi la strada e gli alberi camminano. Cercano l'acqua, a volte.

  Giardiniere da ragazzo, grande vivaista il signor Guagno. "Negli anni mi sono interessato al ripristino ambientale piu' che al rimboschimento". Controcorrente si dice quando uno pianta alberelli dai loro semi, li fa crescere come decidono da soli e dopo cinque, sei anni eccoli li', la quercia, l'olmo, l'ontano del futuro bosco Claudio Abbado, che mi chiamano. Non scendo dal camion perche' le pozzanghere di fango sono alte quanto me. Atto mancato, sicuramente, ma il futuro bosco me lo restituira'. 

  Una quercia splendida tra tante splendide: scelta. Chissa perche' se ne sceglie una fra tante. "Se avessi questa terra lascerei tutto come e' adesso, senza fare nulla fino a che i vasi non si rompessero alle radici in movimento e tutto perdesse la sua forma." ho detto; il signor Guagno ha sorriso e l'ha segnata con un cordino. Questa sara' la grande quercia isolata che portera' il ricordo di un'amica.

  Un pomeriggio caldo di sole. Al ritorno un po' di foschia sui campi a sinistra. Gli Etruschi la' sotto ancora e gli alberi a proteggerli.

benvenuto bosco Claudio Abbado! .211

Questo e' il bosco Claudio Abbado, il grande direttore d'orchestra che un giorno volle piantare migliaia di alberi nella sua citta', ma non incontro' un adeguato interlocutore.

  Ferrara l'aveva accolto per anni di felice convivenza. Io tornavo ad ascoltarlo da Venezia dove studiavo architettura al tempo in cui Ippolito Pizzetti faceva amare i giardini.

  Un boschetto/margine di bosco/giardino boschivo largo 20 metri e lungo 80 metri: si incontra un frassino, un ontano, un melo accanto ad un melocotogno, un nocciolo, 2,30 metri piu' in la' due melograni, un pero, viburni, sambuchi, un altro melo, rose canine e siamo 18 metri piu' in la' quindi aceri campestri, querce, evonimi, nespoli e la parrotia persica che diventa gialla-rossa-marrone-ancora un po' verdina, proprio in questi giorni... ma del prossimo anno perche' ora il bosco sta per nascere e ha bisogno di un anno almeno per diventare grande.

(Perche' piantare un bosco in citta'? Ne scrivevo indirettamente qualche tempo fa nel post 145: Hybrid Parks e L'Allegoria del Buon Governo)

   

fosfeni .210

Gli anelli di Saturno cui associo gli anelli del disco in cui Michelangeli suona Albeniz / neri, densi in un solco continuo dove il Tempo trova la sua qualità e finalmente una forma (per un po') / dove le fibre invisibili e brevi che nell'aria formano la polvere, che la luce del sole rivela allo sguardo, che la puntina del giradischi rivela all'udito in quei cic... cic... / sembrano i ghiacci immensi che ruotano intorno al pianeta che abbiamo chiamato con il nome del Tempo, luminosi anche loro dell'unica luce del Sole, con un suono anche loro, soltanto continuo / su un altro disco poco prima avveniva la stessa cosa, ma non ci avevo fatto caso

Calder .209


Calder ha descritto, nell'aria cui esse appartengono, le relazioni tra le cose in un loro istante di equilibrio. Ha mostrato come i fenomeni si tengono disegnando con il fil di ferro il meccanismo di compensazione reciproca in cui stanno le varie esperienze. Come se gettando una rete -soltanto invisibile- in aria, sulle cose, le persone, le città, le montagne, le galassie, le invisibili relazioni di compensazione si mostrassero in uno degli infiniti istanti del loro manifestarsi e, in quello, emergesse il suono senza colore da cui proveniamo e in cui viviamo, che non riusciamo ad udire se non raramente e che ci sforziamo di ascoltare quando, nel quotidiano delle nostre vite, l'equilibrio tra i movimenti reciproci delle cose e delle persone è la nostra unica possibile grande capacità di gioia. E questa gioia è dell'aria e del gioco.

  Nessuna volontà di controllo può conoscere l'infinito invisibile che tiene insieme come collante le cose, perché la ragione delle cose non è un oggetto, non è trattenibile da un unico occhio bensì è la relazione reciproca, la proporzione relativa, il dialogo in atto tra diversità compresenti che solo l'aria, fatta di mille piani, può ospitare. Tale dialogo può soltanto essere descritto nel proprio manifestarsi perché non possiamo nominare un dialogo bensì solo le sue diverse voci nel loro manifestarsi.

  Calder ha descritto il dialogo della vita seguendolo nel suo equilibrio, soltanto seguendolo, nel suo movimento intimo, nella sua natura di soffio. Non è l'aria dalla finestra che muove i mobiles, ma il soffio delle voci nel loro approssimarsi l'una all'altra, il soffio presenza delle voci. Come le foglie quando si tendono al ramo al muro ad altre foglie.

George Brassens et Venise .208


Dans l'eau de la claire fontaine
Elle se baignait toute nue
Une saute de vent soudaine
Jeta ses habits dans les nues

En détresse, elle me fit signe
Pour la vêtir, d'aller chercher
Des monceaux de feuilles de vigne
Fleurs de lis ou fleurs d'oranger

Avec des pétales de roses
Un bout de corsage lui fis
La belle n'était pas bien grosse
Une seule rose a suffi

Avec le pampre de la vigne
Un bout de cotillon lui fis
Mais la belle était si petite
Qu'une seule feuille a suffi

Elle me tendit ses bras, ses lèvres
Comme pour me remercier
Je les pris avec tant de fièvre
Qu'ell' fut toute déshabillée

Le jeu dut plaire à l'ingénue
Car, à la fontaine souvent
Ell' s'alla baigner toute nue
En priant Dieu qu'il fit du vent
Qu'il fit du vent...

Dans l'eau de la claire fontaine, George Brassens

Ed era un bordo di canale veneziano ieri pomeriggio

la pietra giusta .207









Ho trovato la pietra giusta per questa quercia nata l'anno scorso in un campo lungo le mura della mia citta'; il tronco era stato urtato da un passo e risaldato dalla pianta in modo ricurvo.

il disegno e' li' .205

Trasparente denso permeabile alberi da frutta querce ontani giardino di casa parco di tutti Hybrid Park deforestazione dighe India Brasile Turchia e amici Londra fotografia e studio nuovo inattesa passione matura chissa' perche'? arboricoltura garden design tante cose trasparenti dense permeabili.

  Un rettangolo di 20x40m, primo modulo di una serie di quattro del Bosco Claudio Abbado, il nuovo parco publico di margine boschivo che nascera' a Ferrara, autunno 2015.
Il disegno e' li'.

Hypnerotomachia Poliphili .204

L'onirica battaglia amorosa di Polifilo

La prima edizione dell'Hypnerotomachia Poliphili e' aperta al primo piano della Biblioteca della mia citta' alla pagina in cui Polifilo e' addormentato; sta sognando.

La xilografia mostra Colui che ama tante cose addormentato ed i caratteri di Aldo Manuzio cominciano a narrare il suo sogno.

"Come fosse un sogno" perche' dal sogno di tante cose siamo guidati e la narrazione comincia dal disegno piu' eloquente che del sogno si possa fare: un uomo addormentato ai piedi di un albero. 

Come Colui che ama tante cose ha un nome ed un volto anche le tante cose amate hanno un nome che le raccoglie insieme ed un disegno che da loro un volto, quello di una ragazza e la ragazza amata da Colui che ama tante cose si chiama Tante cose.

Siamo noi e l'incanto che ci muove alla vita.

   La rappresentazione dell'incanto che guida l'uomo puo' essere solo questo uomo addormentato. Solo l'immagine del sogno riesce a dire di cosa e' fatta la materia della nostra volonta', altrimenti imprendibile, perche' mancano le parole a descriverne l'insensatezza.

La descrizione di questa natura strana che muove il volere umano passa per la descrizione del paesaggio in cui esso si muove, da cui attinge, in cui si riflette ed e' un giardino.

Fuori del sogno, nel giorno della volonta', questa si manifesta semplicemente come propria affermazione di se' e tutto l'intorno, il paesaggio da cui l'incanto prende forma, non fa in tempo a comparire, a rivendicare la propria ricchezza di significato. Nel sogno invece il giardino fa in tempo a comparire, ricco delle rovine romane, delle scritte ignote, delle invenzioni, tra le quali ci perdiamo e dobbiamo ritrovare ogni volta il senso: il materiale dei nostri passi cosi' simile al materiale delle nostre strade.

E' in un giardino che finalmente puo' comparire l'insensatezza in cui la ragione affonda le proprie radici ed ogni volta si riorganizza per riprendere il cammino, la ricerca, la fatica vera e propria battaglia.

Il giardino e' il luogo del sogno da cui la ragione attinge l'incanto, sola sua guida, per orientarsi tra le tante cose che fanno la nostra vita.

   Polifilo non si affanna per trovare Polia, si affanna perche' ama Polia. E' quell'amore che porta tante cose ad affollarsi nella mente ed e' pure quell'unico strumento che abbiamo in grado di permetterci di mettere ordine tra quelle tante cose.

Troviamo il senso a tutto solo attaversando il giardino e questo senso e' l'incontro tra l'amante e l'amata. Incontro sperato, cercato e rinnovato, da dove?, ancora. 

Come il sogno aveva avuto all'inizio del libro un'immagine che il legno fissa sulla carta e Polia aveva avuto una forma di ragazza disegnata per sempre sulla carta, cosi' pure il loro incontro l'avra'. Forme necessarie, come sassolini, a renderci visibile il racconto in cui le tante cose ci prendono per mano e ci fanno attraversare il giardino.


Picasso .203












Vedeva guardando con il pennello

non si può entrare in quel processo con una spiegazione a parole, non si spiega

ci si può commuovere capendo che cosa sta accadendo

e, allora, si può raccontare a parole, qualcosa di simile

lo si moltiplica per approssimarlo meglio in altri ambiti, la parola, la musica, la danza

soltanto la somiglianza riesce a dire di cosa è fatto quello sguardo

facile .202


Albrecht Dürer guardava la zolla d'erba in un tempo in cui le risorse naturali erano pressoche' senza limiti. Il bello e' di per se stesso vero, non per il fatto che sia in pericolo. La fragilita' temporale e strutturale sempre ha accompagnato la bellezza, ma... Questa assertivita' positiva senza passare per la critica ha un potere creativo immenso. Qui si dice che una cosa e' bella e vera da sola e vitale senza alcun bisogno di confronto e seducente in tutta la sua evidenza. Non c'e' bisogno di altro fondamento per l'affermazione del Vero se non la sua capacita' di generare il nostro stupore e contentezza e gioia. E' l'evidenza cosi' difficile da raccontare.

Facile si chiama il libro di poesia e fotografia creato da Paul Éluard e Man Ray e ancora L'évidence poétique di Éluard, Éluard encore.

"garden me" / A writing about a wished frontier for the natural gardening

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Ecological Planting Design

Ecological Planting Design

Drifts / Fillers (Matrix) / Natural Dispersion / Intermingling with accents/ Successional Planting / Self seeding
What do these words mean? Some principles of ecological planting design. (from the book: "A New Naturalism" by C. Heatherington, J. Sargeant, Packard Publishing, Chichester)
Selection of the right plants for the specific site.
Real structural plants marked down into the Planting Plan. The other plants put randomly into the matrix: No. of plants per msq of the grid, randomly intermingling (even tall plants). Succession through the year.
Complete perennial weed control.
High planting density. Close planting allows the plants to quickly form a covering to shade out weeds.
Use perennials and grasses creating planting specifications that can be placed almost randomly.
Matrix: layers (successional planting for seasonal interest) of vegetation that make up un intermingling (random-scattering) planting scheme: below the surface, the mat forming plants happy in semi-shade, and the layer of sun-loving perennials.
Plants are placed completely randomly: planting individual plants, groups of two, or grouping plants to give the impression of their having dispersed naturally. Even more with the use of individual emergent plants (singletons) that do not self-seed, dispersed through the planting.
An intricate matrix of small plants underscores simple combinations of larger perennials placed randomly in twos or threes giving the illusion of having seeded from a larger group.
The dispersion effect is maintained and enhanced by the natural rhythm of the grasses that give consistency to the design. They flow round the garden while the taller perennials form visual anchors.
Allow self-seeding (dynamism) using a competitive static plant to prevent self-seeders from taking over: Aruncus to control self-seeding Angelica.
Sustainable plant communities based on selection (plants chosen for their suitability to the soil conditions and matched for their competitiveness) and proportions (balance ephemeral plants with static forms and combinations such as clumpforming perennials that do not need dividing: 20% ephemeral, self-seeding plants, 80% static plants) of the different species, dependent on their flowering season (a smaller numbers of early-flowering perennials, from woodland edges, which will emerge to give a carpet of green in the spring and will be happy in semi-shade later in the year, followed by a larger proportion of the taller-growing perennials which keep their form and seed-heads into the autumn and the winter).
Year-round interest and a naturalistic intermingling of plant forms.
Ecological compatibility in terms of plants suitability to the site and plants competitive ability to mach each other.
Working with seed mixes and randomly planted mixtures.
Perennials laid out in clumps and Stipa tenuissima dotted in the gaps. Over the time the grass forms drifts around the more static perennials and shrublike planting while the verbascum and kniphofia disperse naturally throughout the steppe.
Accents: Select strong, long lasting vertical forms with a good winter seed-heads. Select plants that will not self-seed, unless a natural dispersion model is required.
Planes: if designing a monoculture or with a limited palette, more competitive plants may be selected to prevent seeding of other plants into the group.
Drifts: to create drifts of naturalistic planting that are static in their shape over time use not-naturalizing, not self-seeding, not running plants.
Create naturalistic blocks for the seeding plants to drift around. For the static forms select plants that do not allow the ephemerals to seed into them.
Blocks: use not-naturalizing species, in high densities, in large groups.
Select compatible plants of similar competitiveness to allow for high-density planting (to enable planting at high density in small gardens).
Achieve rhythm by repeating colours and forms over a large-scale planting.