come nasce il bosco Claudio Abbado a Ferrara .214


Penso a “La grande zolla” di Albrecht Dürer

Siamo nel 1503 ed il 32enne Dürer acquerella una porzione di campo di erbe selvatiche.
Un paio di anni dopo, nel suo secondo viaggio in Italia, Dürer e' a Ferrara dove visita il cantiere della cinta fortificata di Biagio Rossetti. Sta raccogliendo elementi per uno studio sulla difesa delle citta' che sviluppera' negli anni successivi fino alla pubblicazione di un trattato nel 1527 con il titolo:
Alcune istruzioni sulla difesa della città, delle fortezze e dei borghi.

E' un trattato scritto per difendere.

L'arte della guerra era cambiata radicalmente con la comparsa delle armi da fuoco; quasi divenuta una disciplina sconosciuta per la prima volta dopo secoli.
Le armi da fuoco allontanano il contatto fisico e portano con se' l'invisibile e il rumoroso. La valenza psicologica della paura per qualcosa di invisibile e rumoroso davanti a se' e' paralizzante.

Il comparire di questi fattori psicologici sconosciuti si accompagnava ad un'altra scoperta: la struttura degli apparati difensivi delle citta', le mura, si rivelava improvvisamente inadeguata.
Le alte mura non erano piu' utili a nessuno: il colpo di cannone non arrivava molto in alto, ma era terribilmente potente come nessun ariete era mai stato. Un colpo basso, distruttivo cui non si puo' opporre altra resistenza al di fuori dell'attutirlo, assorbendolo nella massa muraria, una resistenza che magari puo', nel migliore dei casi, anche schivare il colpo. Le mura dovranno essere relativamente basse, molto spesse e possibilmente seguire una linea spezzata atta a schivare i colpi. Occorreva trovare una forma nuova, una forma adatta.

Di questa forma ragionano il duca d'Este e il suo architetto Rossetti ed e' questa forma che il giovane Dürer giunge a studiare nel cantiere delle nuovissime fortificazioni di Ferrara.


Un uomo di 32 anni cammina in un campo di fiori selvatici, preleva una zolla dal terreno e la porta nel proprio studio per ritrarla.

Dürer sceglie quanto di piu' delicato ci sia, dei fili d'erba e allo stesso tempo (forse allora solo vaga idea) coltiva nella propria mente uno studio dedicato al difendere le citta'.

Questo fa slittare l'acquerello ben oltre il virtuosismo di uno studio dal vero.

Dürer riesce a tenere insieme due mondi cosi' distanti: fili d'erba e fortificazioni; forse cio' che ci e' caro si tiene in un'unica tensione con cio' che e' in grado di difenderlo.

I tempi di Dürer necessitavano di nuove difese delle citta'; questa e' stata la sua urgenza al punto da dedicarvi una porzione della propria vita. Erano tempi certo non sospetti di crisi ambientale eppure contemporaneamente alla presenza di quell'urgenza, dei fragilissimi fili d'erba diventano il suo acquerello piu' alto.

Cio' di cui parla quel piccolo rettangolo di pergamena di 31cm per 40cm e' un senso profondo della bellezza colta da un'intelligenza capace di coniugare il verbo proteggere ad ogni scala, dalla piu' piccola alla piu' grande.

Ed e' questo che rende l'acquerello di Dürer vicino a noi piu' di quanto immaginiamo.

"La grande zolla" ci parla di uno stato d'animo sospeso, a meta' tra il senso della fragilita' e l'urgenza del difenderla; uno stato d'animo cosi' presente e diffuso in noi che bastano dei fili d'erba perche' esso affiori. Noi abbiamo bisogno di difendere qualcosa che si e' esteso oltre le mura delle citta', qualcosa che coinvolge l'intero ambiente in cui viviamo: la nostra urgenza e' diventata un tutt'uno con l'idea stessa di Ecologia.


Come progettista mi concentro sui tratti dell'acquerello e cerco di capire che cosa mi trattiene ad esso.

... Credo sia qualcosa di relativo all'ordine di quei fili d'erba.

E' l'ordine poco ordinato dei campi di fiori selvatici in cui ritrovo le condizioni in cui io sto bene; l'ordine poco ordinato in cui ritrovo la mia idea di equilibrio ecologico. Questo ordine e' la cifra attraverso la quale "La grande zolla" diviene la rappresentazione piu' adeguata di tale idea.

Mi domando se la rappresentazione di un'idea possa riuscire a difendere quella idea stessa.

La storia del giardino e' la storia del continuo avvicendarsi di forme che hanno rappresentato le urgenze particolari di chi li creava. Quanto piu' si e' formata una coerenza tra l'urgenza e la forma che la rappresentava, tanto piu' il giardino e' stato in grado di avere un significato e durare.

Se c'e' coerenza tra urgenza e forma, la rappresentazione di un'idea puo' difendere l'idea stessa.

Quale forma puo' rappresentare al meglio la nostra urgenza? Quale idea di forma e di ordine abbiamo quando immaginiamo un parco?


Ancora davanti all'acquerello

Se "La grande zolla" e' la rappresentazione piu' adeguata della mia idea di natura, forse la sua caratteristica compositiva: quell'ordine poco ordinato, puo' diventare strumento stesso del progettare.

La Natura ci offre l'opportunita' di entrare in contatto con una bellezza le cui forme non sono riconducibili ad una consueta idea dell'ordine in quanto sono dettate dalle logiche che le piante seguono. Le piante quando vengono lasciate libere di svilupparsi spontaneamente formano comunita' vegetali di grande ricchezza. Occorre farsi mimetici di tali paesaggi.

Occorre imparare a disegnare non calandosi sul foglio dall'alto, ma tracciando la matita sulla carta come se si stesse seguendo il proprio passo che si avvicina al tronco di un albero e ne segue la chioma immaginandola fra venti, quaranta, cento anni... che cosa succedera' quando il sambuco si appoggera' alla quercia fra tre anni? Quasi che il progettare fosse la descrizione di un qualche luogo visto chissa' dove, chissa' quando, in cui siamo stati bene (questi sono i paesaggi sedimentati, sfuggiti al controllo della progettazione di altri, cento, duecento anni prima, dove il parco, uscito dal disegno, si e' restituito alla Natura piu' ampia e la sua vegetazione all'ecologia).

Il rischio di non ascoltare l'urgenza dell'ecologia e' che i parchi delle citta' in cui viviamo non rappresentino piu' nulla per nessuno. Il rischio e' che il paesaggio vegetale urbano si moltiplichi in forme intorno alle quali non riesce a formarsi alcun senso di condivisione proprio per il fatto che tali forme non difendono cio' che ci e' piu' caro. E se la condivisione si indebolisce ad indebolirsi e' il senso stesso di comunita' che su di essa si tiene.

Il giardino piu' adatto a rappresentare la nostra urgenza sara' un giardino in grado di farsi mimetico di comunita' vegetali esistenti, un giardino capace di informarsi alle logiche delle specie vegetali.


Come nasce il progetto del Bosco Claudio Abbado?

Occorre introdurre tre nozioni apprese durante gli anni di studio in un college di Londra.
1'-Dall'arboricoltura: area di bosco volontariamente abbandonata; un'area di sperimentazione temporanea al fine di studiare il destino di gruppi vegetali esistenti lasciati in stato di abbandono volontario.
2'-Boschi urbani: aree abbandonate divenute boschi, gestiti dal LWT.
3'-Gilles Clément, rifugi di biodiversita': aree urbane non coinvolte dal mercato edilizio o dalla rete infrastrutturale che vengono popolate da una grande varieta' di specie vegetali.
Queste tre esperienze mettono in luce un fenomeno: l'apice di biodiversita'.

Bisogna introdurre il significato di Successione Ecologica, il fenomeno secondo il quale le specie vegetali, nel loro colonizzare un terreno vergine, si succedono nella lotta all'approvvigionamento di luce, acqua e sali minerali: da un primo stadio in cui i muschi e i licheni fanno da pionieri, si passa attraverso i vari stadi intermedi delle erbe, delle erbacee perenni e degli arbusti fino ad uno stadio finale in cui la foresta prende forma con le sue specie arboree dominanti.

Nel corso di tale successione il grado di ricchezza della biodiversita', ovvero la ricchezza della varieta' delle specie animali e vegetali presenti, non e' sempre lo stesso, cresce fino a raggiungere un picco. Questo picco e' l'apice di biodiversita', ovvero il piu' alto grado di varieta' delle specie vegetali ed animali presenti in un dato luogo. Questo stadio corrisponde ad un insieme di erbacee perenni, arbusti ed alberi simile a cio' che si trova nei margini boschivi, vale a dire nei primi 20 metri che uniscono il bosco alla campagna, la fascia del bosco piu' ricca di luce e di aria.

Tale apice di biodiversita' e' uno stadio passeggero; il livello di biodiversita' nel tempo comincia ad impoverirsi (per dominanza di alcune specie su altre) fino a raggiungere una certa condizione di stabilita'.

Se si permette alle piante di svilupparsi secondo le proprie logiche, concedendo loro di formare proprie comunita' vegetali, gli spazi verdi riescono a generare autonomamente il massimo livello di biodiversita' al proprio interno.

E' interessante chiedersi se non si possa creare uno spazio vegetale in grado di raggiungere in un tempo relativamente breve tale apice di biodiversita' e se, una volta raggiunto tale stadio, non si possa mantenerlo stabile nella sua ricchezza.


Il Bosco Claudio Abbado si propone come questo tipo di paesaggio.

Una fascia di margine boschivo della superficie di 26 metri per 40 metri e' stata immaginata come una unita' di paesaggio capace di tradurre in ambito urbano la qualita' ambientale di un bosco. Il Bosco Claudio Abbado combina due di tali unita' per uno sviluppo di 80 metri andando ad insistere lungo il margine piu' sensibile di Ferrara dove il quartiere residenziale Barco entra in tangenza con l'area industriale a Nord Ovest della citta'. Un bosco lineare di 80 metri capace di coniugare la valenza di mitigatore ambientale, espressa da un'alta densita' di piantumazione, con la vocazione di parco pubblico garantita dall'alta permeabilita' dei percorsi pedonali che ne attraversano la larghezza di 26 metri.




L'immaginario del bosco

L'immaginario del bosco per un intervento paesaggistico in ambito urbano e' sicuramente una suggestione emotiva. Una suggestione pero' che si e' approfondita nella comprensione delle dinamiche ecologiche del bosco. Conoscendo a poco a poco la grammatica e la sintassi del bosco si giunge a scoprire che esiste un principio fondamentale in cui dimora la qualita' di un bosco: la densita' di piantumazione ovvero la quantita' e la distanza relativa delle piante che lo compongono. Questo principio presiede alla qualita' del bosco indipendentemente dalle dimensioni di esso: "grande bosco" o "piccolo bosco" non importa dal momento che si e' conosciuto la cifra compositiva che ne presiede la qualita'. Veicolato nel progetto, tale principio compositivo consente di proporre la qualita' del bosco a diverse scale di intervento permettendo allo spazio urbano di accogliere brani di paesaggio di grande ricchezza.


Il bello e' che tutto cio' e' contagioso

Come la bellezza de "La grande zolla" da cui il Bosco nasce, questa bellezza un po' selvatica puo' diventare consuetudine visiva e i suoi principii patrimonio comune e allora un ordine un po' meno ordinato puo' spingersi un po' piu' in la', uscire dal rettangolo verde del Bosco Claudio Abbado ed entrare nei nostri giardini ad arricchire i frammentati spazi privati per trasformarli in un'unita' piu' grande. Se infatti immaginiamo di guardare dall'alto la citta' di Ferrara, con la fortuna di poter vedere come gli uccelli, non ci curiamo piu' dei muri tra giardino e giardino; cio' che vediamo e' un unico giardino grande quanto l'intera citta'.

welcome wood .213


Il giorno 21 Novembre sara' presentato il progetto del Bosco Claudio Abbado al Ridotto del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara dove l'inverno scorso l'idea del bosco era stata presentata per la prima volta.

  Gli alberi... e' stupefacente come gli alberi abbiano il potere di permeare i bisogni come fossero altrettante risposte, un potere sottile in grado di innescare il consenso tra diverse persone, diversi interessi e profili umani per un accordo costante, tenace, d'affezione ad un'idea.

Happy.

"garden me" / A writing about a wished frontier for the natural gardening

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Ecological Planting Design

Ecological Planting Design

Drifts / Fillers (Matrix) / Natural Dispersion / Intermingling with accents/ Successional Planting / Self seeding
What do these words mean? Some principles of ecological planting design. (from the book: "A New Naturalism" by C. Heatherington, J. Sargeant, Packard Publishing, Chichester)
Selection of the right plants for the specific site.
Real structural plants marked down into the Planting Plan. The other plants put randomly into the matrix: No. of plants per msq of the grid, randomly intermingling (even tall plants). Succession through the year.
Complete perennial weed control.
High planting density. Close planting allows the plants to quickly form a covering to shade out weeds.
Use perennials and grasses creating planting specifications that can be placed almost randomly.
Matrix: layers (successional planting for seasonal interest) of vegetation that make up un intermingling (random-scattering) planting scheme: below the surface, the mat forming plants happy in semi-shade, and the layer of sun-loving perennials.
Plants are placed completely randomly: planting individual plants, groups of two, or grouping plants to give the impression of their having dispersed naturally. Even more with the use of individual emergent plants (singletons) that do not self-seed, dispersed through the planting.
An intricate matrix of small plants underscores simple combinations of larger perennials placed randomly in twos or threes giving the illusion of having seeded from a larger group.
The dispersion effect is maintained and enhanced by the natural rhythm of the grasses that give consistency to the design. They flow round the garden while the taller perennials form visual anchors.
Allow self-seeding (dynamism) using a competitive static plant to prevent self-seeders from taking over: Aruncus to control self-seeding Angelica.
Sustainable plant communities based on selection (plants chosen for their suitability to the soil conditions and matched for their competitiveness) and proportions (balance ephemeral plants with static forms and combinations such as clumpforming perennials that do not need dividing: 20% ephemeral, self-seeding plants, 80% static plants) of the different species, dependent on their flowering season (a smaller numbers of early-flowering perennials, from woodland edges, which will emerge to give a carpet of green in the spring and will be happy in semi-shade later in the year, followed by a larger proportion of the taller-growing perennials which keep their form and seed-heads into the autumn and the winter).
Year-round interest and a naturalistic intermingling of plant forms.
Ecological compatibility in terms of plants suitability to the site and plants competitive ability to mach each other.
Working with seed mixes and randomly planted mixtures.
Perennials laid out in clumps and Stipa tenuissima dotted in the gaps. Over the time the grass forms drifts around the more static perennials and shrublike planting while the verbascum and kniphofia disperse naturally throughout the steppe.
Accents: Select strong, long lasting vertical forms with a good winter seed-heads. Select plants that will not self-seed, unless a natural dispersion model is required.
Planes: if designing a monoculture or with a limited palette, more competitive plants may be selected to prevent seeding of other plants into the group.
Drifts: to create drifts of naturalistic planting that are static in their shape over time use not-naturalizing, not self-seeding, not running plants.
Create naturalistic blocks for the seeding plants to drift around. For the static forms select plants that do not allow the ephemerals to seed into them.
Blocks: use not-naturalizing species, in high densities, in large groups.
Select compatible plants of similar competitiveness to allow for high-density planting (to enable planting at high density in small gardens).
Achieve rhythm by repeating colours and forms over a large-scale planting.