carta .154
A volo d'uccello e' il rilievo dello stato dei luoghi di un giardino che sta nascendo. Quello sotto e' invece il progetto, piegando il foglio di carta.
Il volo d'uccello crea la visione prospettica ed il giardino prende vita e si stacca dalla carta stropicciata. I nomi solo rimangono fermi dove ci sono le chiome dell'Acer pensylvanicum 'Erythrocladum', del Cercis canadensis 'Forest Pansy'... che in Italiano vuole dire viola del bosco. Andare al mattino quando l'umidita' e' massima a verificare metro e matita alla mano le misure che non tornano. Il foglio si bagna, si rompe li' dove una volta curvata la carta si formera' un piccolo rilievo del terreno, proprio dove nel giardino avevo disegnato un dislivello di 20, 30 centimetri.
Atlante.
Dal basso della fotografia scorrendo verso l'alto dove il fuoco della lente dell'iPhone ha misurato la distanza dal foglio e tutto e' nitido, dove i nomi piu' nitidi sono anche piu' distanti e non si leggono, insieme alle misure che sono troppo piccole e gia' troppo simili ai tratti del disegno.
Dubito di avere altri strumenti per sentirmi a mio agio nel parlare del giardino giapponese che sto realizzando; altri strumenti cosi' adeguati a passare per questa indefinitezza dove tutto e' al proprio posto, ma ricorda qualcosa d'altro: una montagna nel rilievo della carta bagnata e poi asciugata, un lago nell'azzurro che non sa staccarsi da terra, i nomi che scorrono alla base dell'albero e sull'acqua, come le loro foglie.
un disegno per una canzone .152
La foto inverte la grafite che corre lungo la parola grassland scritta sulla pagina e la parola dnalssarg ora significa "un disegno per una canzone". Il disegno e' a matita e cerca di imitare l'erba quando, vista a volo d'uccello, comincia in onde che cominciano sul campo. Mi sono sempre piaciute le linee formate da qualcosa che sta fermo: le onde del mare sono movimenti di particelle d'acqua che non si spostano, cosi' anche le onde d'erba sono fili d'erba che non si spostano, il suono pure se ne sta fermo e non si muove, non viene da nessuna parte e non va in nessun luogo, comincia soltanto e lo si potrebbe chiamare un "canto fermo" come qualcuno ha detto; dura; da dove?! Come la grafite quando insegue l'erba.
Tempo .151
Derek Jarman al suo Prospect Cottage, Henk Gerritsen ai suoi prati o Frances H. Burnett al suo giardino segreto e Goethe alle sue affinita' elettive... ad ognuno dei libri sul tavolo corrisponde una vita intera.
Un amico mi disse: "Ma l'ho letto quando avevo vent'anni!...". Vorrei allora rileggere Le affinita' elettive a 60 anni, l'eta' di Goethe quando scrisse. Il giardino sfiorisce in lei non appena lui le dice che il sentiero cui sta pensando non e' funzionale. Una vita intera per capire che in questa piega dello spirito si attiva la chimica che accosta e tiene due esseri.
Un amico mi disse: "Ma l'ho letto quando avevo vent'anni!...". Vorrei allora rileggere Le affinita' elettive a 60 anni, l'eta' di Goethe quando scrisse. Il giardino sfiorisce in lei non appena lui le dice che il sentiero cui sta pensando non e' funzionale. Una vita intera per capire che in questa piega dello spirito si attiva la chimica che accosta e tiene due esseri.
l'estate di San Martino .150
Finite le giornate del workshop Hybrid Parks ho incontrato il coordinatore del progetto, Christian Gruessen. Gli avevo ricordato se stesso trent'anni prima presentare la tesi di laurea. "Allora quello che ho detto e' superato!"; "No, non passera' mai, ma dai spazio al design, questo modo di intendere il progetto necessita di design." E' stato il primo maestro e non pensavo ne avrei incontrato uno dopo tanto tempo ed in questo nuovo disciplinare. Un vento caldo soffia per l'Europa.
la mano aperta, la main ouverte .149
Forse e' questione di colori, di forme, altezza, struttura, trasparenza, volume, foglie a terra e terra: tutte le diverse cose che in una sola pianta formano un giardino. Vedere tutte queste cose saltando di scala in scala alla velocita' di chi le ha gia' viste tante volte ed ora le vede funzionare insieme. Come quando si guarda in trasparenza le cose e le singole loro parti sono un unico movimento in atto.
Si tratta di guardare il verde della citta' e portarlo in palmo di mano facendo si' che le sue parti funzionino come una Unita' attraverso la loro differenziazione. Soltanto resi diversi, i singoli spazi verdi di una citta' cominciano a funzionare come Unita' ciascuno portando cio' che di particolare ha da dire.
Aver bisogno di questa diversita' forse deve passare per quei colori e forme della prima riga.
Non lo so, per me e' cosi', un'abitudine cominciata tempo fa. Un'abitudine a guardare. Dove le cose cominciano se le guardo, altrimenti, non che non succeda nulla, semplicemente cio' che succede mi parla di qualcosa che potrebbe essere molto migliore ed a portata di mano, ma non lo e' ancora. Ecco dove ci si lascia andare e ci si affida alla descrizione delle cose belle. E dare il nome di un colore a cio' che un attimo prima aveva ricevuto il nome che si da alle forme per poi scoprirsi a nominarlo come quando diamo nomi ai vetri e si chiama trasparenza: sono le foglie gialle, palmate e traslucide degli aceri ora che e' autunno.
Se cominciamo a dare nomi alle cose belle le differenziamo e costruiamo la frase che ci fa entrare gia' in un racconto. Ecco come comincia un parco grande come un'intera citta'. Ecco come comincia l'unita' delle parti verdi che compongono una citta'. Comincia tutto come una descrizione in cui il contorno della nostra mano che tiene nel suo palmo l'intero Verde della citta' non riesce piu' a dire dove comincia il bordo di quel verde e dove comincia il proprio.
L'architetto francese Le Corbusier aveva disegnato una grande mano aperta che ruotava intorno ad un piedestallo per accogliere i beni che provengono da quell'altro grande Aperto che e' il cielo, cosi' da essere attenta ad ogni direzione del vento che soffia da quel blu dove nascono le idee piu' belle e dove i pensieri ricominciano. Ecco da dove viene il titolo di questa pagina.
Si tratta di guardare il verde della citta' e portarlo in palmo di mano facendo si' che le sue parti funzionino come una Unita' attraverso la loro differenziazione. Soltanto resi diversi, i singoli spazi verdi di una citta' cominciano a funzionare come Unita' ciascuno portando cio' che di particolare ha da dire.
Aver bisogno di questa diversita' forse deve passare per quei colori e forme della prima riga.
Non lo so, per me e' cosi', un'abitudine cominciata tempo fa. Un'abitudine a guardare. Dove le cose cominciano se le guardo, altrimenti, non che non succeda nulla, semplicemente cio' che succede mi parla di qualcosa che potrebbe essere molto migliore ed a portata di mano, ma non lo e' ancora. Ecco dove ci si lascia andare e ci si affida alla descrizione delle cose belle. E dare il nome di un colore a cio' che un attimo prima aveva ricevuto il nome che si da alle forme per poi scoprirsi a nominarlo come quando diamo nomi ai vetri e si chiama trasparenza: sono le foglie gialle, palmate e traslucide degli aceri ora che e' autunno.
Se cominciamo a dare nomi alle cose belle le differenziamo e costruiamo la frase che ci fa entrare gia' in un racconto. Ecco come comincia un parco grande come un'intera citta'. Ecco come comincia l'unita' delle parti verdi che compongono una citta'. Comincia tutto come una descrizione in cui il contorno della nostra mano che tiene nel suo palmo l'intero Verde della citta' non riesce piu' a dire dove comincia il bordo di quel verde e dove comincia il proprio.
L'architetto francese Le Corbusier aveva disegnato una grande mano aperta che ruotava intorno ad un piedestallo per accogliere i beni che provengono da quell'altro grande Aperto che e' il cielo, cosi' da essere attenta ad ogni direzione del vento che soffia da quel blu dove nascono le idee piu' belle e dove i pensieri ricominciano. Ecco da dove viene il titolo di questa pagina.
Keats scrisse A Song About Myself .148
A Song About Myself
I.
There was a naughty boy,
There was a naughty boy,
A naughty boy was he,
He would not stop at home,
He could not quiet be-
He took
In his knapsack
In his knapsack
A book
Full of vowels
And a shirt
With some towels,
A slight cap
For night cap,
A hair brush,
Comb ditto,
New stockings
For old ones
Would split O!
This knapsack
Tight at's back
He rivetted close
And followed his nose
To the north,
To the north,
And follow'd his nose
To the north.
II.
There was a naughty boy
There was a naughty boy
And a naughty boy was he,
For nothing would he do
But scribble poetry-
He took
An ink stand
In his hand
And a pen
Big as ten
In the other,
And away
In a pother
He ran
To the mountains
And fountains
And ghostes
And postes
And witches
And ditches
And wrote
In his coat
When the weather
Was cool,
Fear of gout,
And without
When the weather
Was warm-
Och the charm
When we choose
To follow one's nose
To the north,
To the north,
To follow one's nose
To the north!
III.
There was a naughty boy
There was a naughty boy
And a naughty boy was he,
He kept little fishes
In washing tubs three
In spite
Of the might
Of the maid
Nor afraid
Of his Granny-good-
He often would
Hurly burly
Get up early
And go
By hook or crook
To the brook
And bring home
Miller's thumb,
Tittlebat
Not over fat,
Not over fat,
Minnows small
As the stall
Of a glove,
Not above
The size
Of a nice
Little baby's
Little fingers-
O he made
'Twas his trade
Of fish a pretty kettle
A kettle-
A kettle
Of fish a pretty kettle
A kettle!
IV.
There was a naughty boy,
There was a naughty boy,
And a naughty boy was he,
He ran away to Scotland
The people for to see-
There he found
That the ground
Was as hard,
That a yard
Was as long,
That a song
Was as merry,
That a cherry
Was as red,
That lead
Was as weighty,
That fourscore
Was as eighty,
That a door
Was as wooden
As in England-
So he stood in his shoes
And he wonder'd,
He wonder'd,
He stood in his
Shoes and he wonder'd.
Incipit vita nova .147
Il melocotogno e' caduto... come puo' essere che il peso delle melecotogne abbia fatto cadere, sradicare, rovinare a terra il mio alberello, il melocotogno?... E dopo solo due giorni dalla rottura del melograno... E per di piu' con tutto il peso sulle anemoni ed il pero... insomma non ho potuto fare altro che una marmellata: melecotogne, mele verdi e banane in omaggio ad un albero orizzontale in giardino dal quale cresceranno ramoscelli lungo un tronco ancora attaccato al terreno sotto il quale cresceranno felci, epimedi, anemoni, anemoni, anemoni. Incipit vita nova
BBPR .146
Il melograno in giardino si e' rotto sotto il peso delle melegrane.
Un'amica mi ricorda i BBPR. Il loro quadrato attraversato dall'aria come quando si pota un melo e si dice che tra i rami deve poter passare un uccello.
Un'amica mi ricorda i BBPR. Il loro quadrato attraversato dall'aria come quando si pota un melo e si dice che tra i rami deve poter passare un uccello.
Hybrid Parks e L'Allegoria del Buon Governo .145
Hybrid Parks Workshop, Ferrara 6, 7, 8 Novembre 2013
Come
puo' una
comunita' locale arrivare ad avere una gestione del verde che
permetta tali esperimenti nell'ambito delle proprie disponibilita'
economiche? E' difficile per piu' ragioni, ne scelgo due: la
disponibilita' economica e la cultura della cittadinanza. La prima
rende possibile la nascita di ogni cosa, la seconda rende possibile
la sua durata. Questo workshop affronta il secondo punto in quanto e'
strumento di comunicazione, puo' fissare un accordo dal quale partire
insieme in piu' paesi per la costruzione di un consenso pubblico
diffuso. Spetta quindi ai governi locali delle citta' studiare il
primo punto, come creare le opportunita' nell'ambito delle proprie
disponibilita'.
Si parla
di Hybrid
Parks. Tradotto
in Italiano diventa Parchi Ibridi. Possiamo spingerci oltre e pensare
di tradurlo dal linguaggio verbale al linguaggio visuale, come nella
prima meta' del XIV secolo Ambrogio Lorenzetti dipingeva
nell'affresco dell'Allegoria
del Buon Governo sulle
pareti del Palazzo Pubblico di Siena, era l'anno 1338. Chi canta e
danza, chi attende alle proprie faccende, una citta' si apre alla
campagna, le persone entrano ed escono, chi va a caccia e chi porta
merci. La citta' si apre alla campagna attraverso una fascia di orti
e vigneti adiacenti le mura. E' l'immagine della Pace, un'immagine di
cose differenti ed in armonia tra loro, molteplici e colorate. E'
l'allegoria del Buon Governo. Sulla parete di fronte un'unica macchia
grigia e marrone del colore di boschi devastati e campi abbandonati
e' l'immagine del Cattivo Governo.
Il
paesaggio diventa strumento di rappresentazione della condizione
della citta'. Ma accade qui qualcosa di piu', e' il potere
dell'allegoria. L'allegoria si compone di determinate cose: le
ragazze che danzano ridendo, le finestre aperte delle case, i negozi,
i campi coltivati e queste cose sono identiche a cio' che per noi
significa Pace, queste cose sono
la Pace. L'allegoria fissa l'identita' tra la Pace ed il suo
Paesaggio, generando in noi un senso di familiarita' e di
appartenenza ad esso. La forza dell'allegoria e' qui: crea
un'indissolubile unita' tra quel Paesaggio e cio' di cui noi abbiamo
bisogno. In una sala del Palazzo Pubblico di Siena, la Pace e la
citta' del XIV secolo avevano trovato il proprio Paesaggio.
A
Ferrara,
dal XV al XVI secolo, il grande potere economico-militare dei duchi
Estensi assumeva una duplice forma, da un lato, armi di ultima
generazione da usare e vendere ai potenti d'europa e, dall'altra, le
Delizie, palazzi con giardini in cui la corte abitava alcuni mesi
all'anno: il giardino, in un'epoca di guerra, e' manifesto di potere
e sua rappresentazione.
La
presenza di queste aree verdi nella citta' di oggi e' rimasta
pressoche' intatta. La vista dall'alto mostra la zona Nord-Est della
citta' di colore verde continuo ed e' qui che accadono le cose piu'
interessanti. Cio' che si percorre e' una rara fusione di sacro e
profano tra orti medievali. Entro il perimetro delle mura una
campagna mantiene il proprio uso, non solo la propria persistenza
formale, come area di rispetto tra i due cimiteri cristiano ed
ebraico che ne hanno garantito la durata.
Forse
Ferrara puo' ospitare un ragionamento sugli Hybrid
Parks
perche' li conosce da tempo o meglio conosce possibilita' antiche di
gestione dello spazio verde pubblico che possono essere fonte di
stimolo per il mondo contemporaneo. Un'idea super-moderna, quella
degli Hybrid
Parks,
trova qui, quasi casualmente, delle radici. Questa idea, radicandosi
nel tempo, acquista una patina di normalita', di ovvieta' che ci
restituisce all'evidenza del suo piu' autentico carattere e sua piu'
autentica ricchezza: la molteplicita'. La normalita' che si incontra
a Ferrara rende l'idea della fusione di urbano ed agricolo
piu' familiare, piu' consueta ovvero gia' piu' disponibile a
sedimentarsi nell'immaginario di tutti coloro che l'attraversano. Si
tratta allora di giungere alla fine del workshop con in se' maturato
un senso di riscoperta, quasi di ovvieta' visiva e percettiva circa
il significato di hybrid e
con essa maturato il bisogno estetico di questo tipo di paesaggio.
Un'appartenenza tout
court.
Le forme progettuali di tale riscoperta, poi, sono tutte da
inventare.
Nella
forma
di un giardino -ogni Parco e' un giardino- trova rappresentazione
l'urgenza di chi lo crea e la storia del giardino e' un continuo
cambiamento di forme e di idee, come teatro di una rappresentazione
che muta di volta in volta i suoi contenuti.
Sappiamo
tutti che l'urgenza ecologica e' l'idea dominante del nostro
presente. Si tratta allora di trovare una risposta alla questione:
quale sia la forma di giardino in grado di interpretare questa
urgenza. Mi piace pensare che il giardino in grado di interpretare le
cose che piu' ci stanno a cuore abbia una forma insolita, capace di
seguire le piante nel loro sviluppo naturale.
Il
bello e' che ad accogliere l'Ecologia nel nostro sguardo si arriva al
punto di non poterne piu' fare a meno... Il piu' avventuroso dei
giardinieri inglesi si chiamava Christopher Lloyd ed il 21 Dicembre
'78 scriveva: “... E' questione di educazione: se sei cresciuto
correndo nell'erba alta, non ne puoi piu' fare a meno.” Non
poter piu' fare a meno di una Bellezza che viene a galla in forme non
piu' riconducibili ad una consueta idea dell'ordine, ma sinonimi di
varieta' biologica... "Pettini con la mano le erbacee a fine stagione." scrisse il designer olandese Henk Gerritsen in una lettera alla sua ultima cliente.
Si
tratta di creare una cultura del verde aperta a soluzioni adatte al
fenomeno di lento e progressivo impoverimento della diversita'
climatica, adatte alla tendenza all'innalzamento delle temperature e
alla scarsita' d'acqua. Attenzione alla sostenibilita' nella scelta
vegetale da coniugare con un tipo di progettazione informata ai
sistemi vegetali che si trovano in natura nella creazione di
comunita' vegetali semi-autosufficienti. Piante resistenti e durature
messe a dimora in seno ad una progettazione che, facendosi mimetica
dei paesaggi naturali, sia in grado di condurre il dinamismo delle
comunita' vegetali nel paesaggio delle nostre citta'. La gestione di
questi spazi assecondera' sia l'opportunita' autunnale ed invernale
di insetti ed uccelli di nutrirsi dalle teste dei fiori secchi, sia
la bellezza formale delle erbacee perenni nella loro fase invernale,
intervenendo solo allora alla loro recisione, con un contenimento
delle spese. E cosi' pure lo sfalcio delle comunita' vegetali prative
verra' differenziato, laddove la fruizione pubblica lo permetta,
lasciandole al loro naturale sviluppo, anche in questo caso con un
contenimento delle spese grazie al fatto che lo sfalcio di fine
stagione e' affidato ad agricoltori per l'alimentazione degli
animali. Sostenibilita' nella scelta delle specie,
sostenibilita' nella progettazione e sostenibilita' nella gestione.
Sostenibilita'
allora diventa qui sinonimo di molteplicita', quella molteplicita' di
cui parlavo all'inizio, di cui e' fatto il Paesaggio della Pace
nell'affresco dell'Allegoria
del Buon Governo.
Il
rischio di non ascoltare l'urgenza ecologica non traducendola nelle
forme ad essa piu' consone e' che il paesaggio in cui viviamo non
rappresenti piu' nulla per nessuno e che le sue forme si ripetano
senza creare intorno a se' alcun senso di condivisione. Ed e' di
condivisione che si crea la Citta'. Se il Buon Governo e la sua Pace
avevano trovato nel XIV secolo la loro adeguata rappresentazione
pittorica, il proprio Paesaggio, noi dobbiamo interrogarci su quale
forma l'urgenza ecologica del XXI secolo, la nostra
Pace,
puo' trovare la propria adeguata rappresentazione. Quale sara' la
nostra allegoria?
Ferrara
non ha grandi risorse economiche, ma si e' dotata di uno strumento di
gestione degli spazi verdi pubblici che puo' permettere novita'. Si
chiama Adozione Verde: privati cittadini si associano senza scopo di
lucro ed adottano per la durata di cinque anni un'area di dimensioni
variabili dai 20mq ai 2.000mq. L'uso differenziato dello spazio
pubblico si moltiplica cosi' per l'intera citta' arricchendosi dei
piu' svariati molteplici apporti dei privati cittadini. Ed e' qui che
si torna all'importanza dell'informazione e della cultura della
cittadinanza per garantire la qualita' delle sue proposte.
E'
cosi'
che hybrid
perde ogni connotazione dimensionale e diventa: consuetudine di
pensiero ed e' cosi' che puo' spingersi un po' piu' in la' dell'idea
di Parco ed entrare nelle nostre case ad arricchire i frammentati
spazi verdi privati per trasformarli e farli funzionare in una
unita' piu'
grande. Se immaginiamo di guardare dall'alto la citta' di Ferrara,
con la fortuna di vedere come gli uccelli, l'insieme frammentario dei
suoi giardini si rivela qual e': gli uccelli non si curano dei muri
divisori tra giardino e giardino, volano sopra un unico
giardino
grande quanto l'intera citta', la cui ricchezza e' data dalla
varieta' dei tanti piccoli habitat che lo compongono. Non e'
questione di scala, bensi' di approccio ed ha un nome: molteplicita',
ancora una volta.
Se
questa visione si fa piu' matura Ferrara, come molte altre citta',
puo' non aver bisogno di un hybrid park, perche' gia' e'
un
hybrid park, in quanto gia' funziona
come tale. Soltanto e' necessario che si faccia piu' maturo ovvero
piu' diversificato il modo in cui i suoi spazi verdi funzionano nel
loro insieme, ciascuno avvalorato dalla propria particolarita'. La
molteplicita', che qui a Ferrara con un salto di scala temporale
inatteso tiene unito il presente al medioevo, puo' diventare
molteplicita' spaziale in grado di tenere e fare funzionare insieme
il piccolo giardino ed il grande parco, rendendo ogni scala di
intervento piu' fluida, piu' adattabile; ovvero, in una sola tensione, rendere la nostra Allegoria piu' attenta alla fragile imprevedibilita' del nostro tempo.
Atlas .144
Capita, a volte, quando avvicino lo sguardo un po' troppo ad uno schermo, per esempio all'iPhone quando voglio entrare nel video dei Coldplay Atlas, che le immagini prima sfochino poi si dissolvano nei miei occhi che vedo venire a galla sul vetro, dal nero dello spazio in cui le costellazioni i pianeti i segni e la musica che sta formandosi si muovono.
Darwin .142
Il giardino Priona di Henk Gerritsen scorre nel mio iPhone tra le foglie dell'ippocastano di due anni e le erbe cresciute dai semi dei prati del Friuli.
Darwin ha trovato acerrimi nemici nei professori delle grandi istituzioni scolastiche inglesi.
Discendere dalle scimmie non mi fa certo piacere visto che di esse ho perso piu' o meno tutto divenendo sempre piu' fragile nel processo evolutivo, degli uccelli poi non posseggo piu' le ali, del respirare sott'acqua dei pesci non se ne parla neppure e, ultimo gradino, della medusa primigenia non posso neppure rivendicare la pigrizia con alcun onore... Qui spunta una manina, li' una pinnetta ed i due embrioni fino a quel momento simili simili, prendono le loro vie di milioni di anni. E via, siamo trasformazione in atto di materia vivente! Bello no?! Almeno per un po' pero' la nostra forma ci e' garantita, questo si.
Come pensare allo scorrere della vita nelle nostre cellule senza sentirsi sciogliere i tessuti, i tendini, le ossa, in qualcosa di fluido, permeabile, che fra milioni di anni avra' assunto una forma totalmente diversa e pure colta in un istante del suo instancabile durare continuo di trasformazione... sempre piu' lontano dai pesci, dagli uccelli, dalle scimmie... dall'uomo... Simile a chi? Da chi dissimile? Eppure...
Eppure e' meraviglioso pensare che, in tutto questo infinito moto, accade che noi ad un certo punto siamo attratti ed affidiamo la nostra vita ad un volto, uno sguardo, un profilo e ci perdiamo in esso divenendo eterni. E' l'oblio, che viene da chissa' dove dentro di noi. Vero mistero, questo si. Molto simile al mare da cui veniamo appunto, ed in cui ci pare di fonderci, quasi un ritorno a casa, un ritorno all'origine, all'unita', ovunque questa nostra materia vivente si trovi nel corso della sua evoluzione. Sempre li'. Sempre disponibili al ritorno. Ogni volta ancora un volto appare ed ogni volta ancora esso ci fluidifica e quasi noi diventiamo la medusa di cui abbiamo ancora e sempre un brevissimo segmento di DNA.
Cos'e' che viene a galla? Da dove? Come si chiama e come si spiega? Di cosa siamo fatti?
Materia in trasformazione animata nel profondo da qualcosa che e' in grado di sottrarla al tempo rendendola eterna ad ogni respiro. La materia cosi' si salda al principio vitale che un volto di un'altra persona porta a galla dal profondo. Principio vitale immensamente piu' forte della forza di trasformazione della materia che invece spinge oltre, procede instancabile e non si ferma. Quel principio vitale ci fa fermare ed uscire dal tempo.
La materia allora puo' anche procedere nella sua trasformazione, ma una parte piu' profonda, sconosciuta fino ad allora, separa la propria via da quello scorrere. E' uno stato di oblio e di eternita' in cui la percezione che noi abbiamo di noi stessi non e' piu' fisica. Ci sentiamo fatti di una materia nuova, ancora permeabile e fluida, non piu' pero' in movimento. Uno stato di continuita' e durata, anziche' di moto. Le onde rientrano nel mare di cui sono fatte.
Siamo quanto di piu' passeggero possa esistere e non solo non ce ne accorgiamo, ma anche, a tratti, diventiamo eterni!
Questo, per quanto riguarda l'animale uomo nel suo stato attuale. E fra milioni d'anni? Davvero ancora tutto si fermera' davanti ad un volto? Chissa'.
E tutto dall'applicazione "BBC iPlayer" dell'iPhone, ora tra i vasi del mio terrazzo. Un paio di documentari dedicati a Darwin ed ecco che faccio un balzo di piu' futuri, come nessuna lezione al liceo mi aveva lasciato.
mare .141
il pugile greco .138
Lo sguardo si volge a destra verso l'alto, sta ascoltando qualcuno che gli parla, l'allenatore o un compagno che lo chiama. Distratto. Un amico mi manda un breve video del pugile greco con i tagli dei guanti ferrati di inserzioni di rame, rosso. Fermare nel bronzo un attimo d'assenza d'eroismo che restituisce il giovane pugile alla sua umanità, per sempre. Per sempre gli e' resa giustizia. Con un movimento totalmente privo di volontà e potere la vita entra nel metallo attraverso il gesto più inatteso che la figura rappresentata potrebbe mai fare in vita.
È questo il carattere rivoluzionario del quotidiano che rende giustizia alla prigionia rispetto ai miti che i ruoli sociali assegnano agli esseri umani, i miti dei rapporti di potere in cui il mondo si struttura. Non c'e' piu' pugile, combattimento, sport.
Il carattere rivoluzionario del linguaggio e la sua espressione sono in quel movimento distratto. Lo scultore ha smascherato il mito e dato voce a questo carattere trasmettendolo alle generazioni come il mordente più intimo del bisogno di giustizia, mettendo nella sua materia la lima che il carcerato trova nel pane.
Non ho mai amato il pugilato, ma i pugili mi sono simpatici e non so cosa c'entri il pugilato con il fare giardini, eccetto che le mani dei venditori di fiori di Columbia Road somigliano alle sue.
È questo il carattere rivoluzionario del quotidiano che rende giustizia alla prigionia rispetto ai miti che i ruoli sociali assegnano agli esseri umani, i miti dei rapporti di potere in cui il mondo si struttura. Non c'e' piu' pugile, combattimento, sport.
Il carattere rivoluzionario del linguaggio e la sua espressione sono in quel movimento distratto. Lo scultore ha smascherato il mito e dato voce a questo carattere trasmettendolo alle generazioni come il mordente più intimo del bisogno di giustizia, mettendo nella sua materia la lima che il carcerato trova nel pane.
Non ho mai amato il pugilato, ma i pugili mi sono simpatici e non so cosa c'entri il pugilato con il fare giardini, eccetto che le mani dei venditori di fiori di Columbia Road somigliano alle sue.
per te .136
Gli esami non finiscono mai, come sa chi studia medicina. Sentire pero' che i 16 anni sono di nuovo li' a fare capolino, per chi come me pensava di avere gia' finito la scuola, e' davvero inatteso e sono curioso.
Cosi' spunta Richard Mabey con "Il taccuino del naturalista", un libretto meraviglioso sull'inevitabile piega soggettiva che lo sguardo scientifico sul mondo naturale puo' a volte prendere. E' cosi' per i poeti ed e' cosi' per gli scienziati. Alcuni almeno.
Come fare a conoscere il canto dell'usignolo se non si ascolta la registrazione della BBC del violoncello che canta insieme all'usignolo?! Come fare a conoscere il volo del cormorano se le lenti del binocolo non trattengono l'odore dell'erba macilenta delle pianure acquitrinose, oppure, come si fa a conoscere l'Arte della cura se non si apprende a sorridere al sorriso che vuole nascere nell'animale malato?
Di questo, o quasi, parla il piu' grande naturalista inglese. Saltava di fosso in fosso quando era giovane, come gli uccelli di ramo in ramo ed altre creature di spiaggia in spiaggia e cosi' la somiglianza puo' permettere di intendere di che cosa siamo fatti.
Gli uccelli si dice cantino per comunicare, si dice anche che sia per orientarsi, altri dicono che sia per il semplice piacere di farlo... non lo sappiamo con certezza, possiamo approssimare soltanto. E l'approssimazione viaggia sulle ali della sorpresa, laddove lo sguardo si riposiziona e riesce a trattenere l'odore dell'erba e per la prima volta allora qualcosa di nuovo succede, proprio li', in quel luogo specifico, diversamente da altri luoghi dove non ci si era accorti di nulla prima, perche' e' li' che l'erba ha quell'odore ed e' li' che il cormorano che di essa ha bisogno ci informa di una cosa nuova.
Gli uccelli si dice cantino per comunicare, si dice anche che sia per orientarsi, altri dicono che sia per il semplice piacere di farlo... non lo sappiamo con certezza, possiamo approssimare soltanto. E l'approssimazione viaggia sulle ali della sorpresa, laddove lo sguardo si riposiziona e riesce a trattenere l'odore dell'erba e per la prima volta allora qualcosa di nuovo succede, proprio li', in quel luogo specifico, diversamente da altri luoghi dove non ci si era accorti di nulla prima, perche' e' li' che l'erba ha quell'odore ed e' li' che il cormorano che di essa ha bisogno ci informa di una cosa nuova.
Diventa poi tutto infinitamente piu' grande se pensiamo che nell'aria esistono fili di sostanze chimiche che tessono relazioni non solo nell'ambito di una stessa specie, ma anche da una specie ad un'altra... da una foglia ad un animale! Forse allora quegli occhi, orecchie, nasi e mani che insieme non riescono a lasciare la soggettivita', nell'appoggiare il binocolo a terra, sono proprio i sensori con i quali quelle frequenze entrano in allunisono d'ascolto.
Sono curioso di seguire questa creatura di spiaggia in spiaggia, chissà cosa ha da dire!
Sono curioso di seguire questa creatura di spiaggia in spiaggia, chissà cosa ha da dire!
Leon Battista Alberti e lo scalpellino di Ferrara .135
Leon Battista Alberti vedeva fluttuare segni latini in un mare indistinto. Era l'occhio dei Bizantini giunto in Italia veicolando Roma dall'Oriente dove la lingua del fare architettura aveva una lunga continuita' sia tecnica che sintattica.
Nel '400 emergono elementi che avevano attraversato il mare e che si erano trasformati nelle infinite possibili variazioni dei secoli tra Bisanzio e Firenze. Un po' come il RAP nepalese cantato da ragazzini con gli iphone che non prendono alcun segnale, lassu' sulle pendici dei monti piu' alti della Terra, ma suonano la musica.
I maestri scultori discendenti del quasi-vuoto lasciato dalla peste del '300 con il sapere millenario quasi spazzato via, avevano negli occhi una liquidita' delle forme incredibile. Ed e' qui che Leon Battista Alberti necessita di una lingua perche' l'espressione deve stare entro una lingua per poter comunicare e dunque avere possibilita' di sopravvivere e dignita' di esistere. Ecco che la consuetudine del parlare diventa il presente vivificante dell'espressione, la dimora della lingua, l'identita' presente di colui che si esprime.
Si rintracciano, con un enorme sforzo di invenzione filologica, regole sintattiche per tutti gli elementi grammaticali che stavano fluttuando attraverso i secoli nelle architetture prive di tempo.
La Cattedrale di Ferrara e' questo arcipelago delle forme e me ne sono reso veramente conto questa mattina passando in rassegna ogni singolo elemento come non avevo mai fatto, con un bicchiere di latte macchiato (non dico non l'avessi mai fatto senza bicchiere...).
La Chiesa costruiva il dominio sulle coscienze con l'invenzione della paura e della salvezza e lo faceva edificando le proprie strutture fisse con pietre che erano quanto di meno certo e quanto di piu' fluttuante si potesse mai immaginare. Buffo no?
La liberta' espressiva degli scalpellini, che sembrano venire dallo Spazio per capacita' d'invenzione, ha un portato che poteva, se letto con gli occhi di oggi, fessurare le fondamenta della Chiesa. E non solo agli occhi di oggi.
Pero' allora il problema di alcuni grandi era tenere insieme le cose che si sfrangiavano. Leon Battista Alberti per un certo verso e' piu' spaventato di un qualsiasi scalpellino delle colonnine della cattedrale di Ferrara. E' una paura pero' matura che cerca figure che arginino, che diano non certezze, ma strumenti di costruzione progressiva. Un imparare a riparare la nave mentre si naviga, una di quelle naviculae che l'uomo e', a volte, in grado di costruire.
Chissa' se agli occhi di Alberti Ferrara apparisse disorientata. Forse invece interessantissima, come ogni lavoro in corso. Capitelli bellissimi e diversi fra loro, per figura e concetto, capaci di essere variazione dello stesso tema, su cui pero' si impostano archi senza mediazione alcuna, cosa gia' totalmente out da mo'. Era, appunto, un occhio raffinatissimo che si permetteva invenzioni grammaticali, senza capacita' di articolazione sintattica. Un po' come facevo io appena arrivato a Londra quando usavo termini osando e vuoi caso il latino d'origine comune li rivelava quali termini colti di cui l'interlocutore si meravigliava... poi, pero' le frasi non andavano da nessuna parte. Non comunicavo.
Questa e' l'infanzia di Ferrara, il suo non comunicare in una lingua condivisa dell'architettura. Troppo vaga ancora, con le sue splendide paraste a grottesche che parlavano Latino applicate a strutture che parlavano Tedesco. Pero'... anche la sua ricerca, il suo farsi spazio tra le forme e la curiosita' ed il coraggio di duchi con le loro maestranze.
Se pensiamo pero' che contemporaneamente aveva luogo l'immane fatica di Alberti tutto cio' forse puo' far pensare che a Ferrara andasse bene cosi', senza tanta ricerca, semplicemente perche' tali forme in fondo piacevano cosi', poco importa da dove venissero.
Dato il mio amore per Alberti e data la ricchezza d'intenti e di volonta' del meglio espressa dalla corte Estense per se', questa indeterminatezza nella sua architettura mi parla di provincia dell'animo. O forse manifesta un preciso voler mantenere la propria identita' urbana in un'ostentata autonomia che entra in tangenza con l'eccentricita'... un po' come avere cavalli fluorescenti nei dipinti.
Mi sono sempre chiesto dove saremmo arrivati se non ci fosse stato l'occhio alato di Alberti. Magari saremmo stati arabizzati dal meraviglioso linguaggio astratto delle loro forme, arrivato fino dentro il marmo rosa degli archetti ferraresi a piegarli in archi strani ai nostri occhi che diventano carene di nave e portano una sfera chiara e certa: no rappresentazione, no teatro, solo geometria e luce, tanta luce... e giardini.
Gia' perche' questo e' un blog di giardini, non di architettura e di giardini gli Estensi se ne intendevano. Erano il loro manifesto, ma quale architettura! Cannoni e fiori (non nel senso giusto) questo e' il vero potere.
I giardini si sono volatilizzati, tornati alla terra e le colonne che li incorniciavano sono ovunque, utilizzate di nuovo per le vie della citta', di nuovo vivi i loro capitelli colti e confusi. (Ma quanto l'amo questa citta'?!)
Nel '400 emergono elementi che avevano attraversato il mare e che si erano trasformati nelle infinite possibili variazioni dei secoli tra Bisanzio e Firenze. Un po' come il RAP nepalese cantato da ragazzini con gli iphone che non prendono alcun segnale, lassu' sulle pendici dei monti piu' alti della Terra, ma suonano la musica.
I maestri scultori discendenti del quasi-vuoto lasciato dalla peste del '300 con il sapere millenario quasi spazzato via, avevano negli occhi una liquidita' delle forme incredibile. Ed e' qui che Leon Battista Alberti necessita di una lingua perche' l'espressione deve stare entro una lingua per poter comunicare e dunque avere possibilita' di sopravvivere e dignita' di esistere. Ecco che la consuetudine del parlare diventa il presente vivificante dell'espressione, la dimora della lingua, l'identita' presente di colui che si esprime.
Si rintracciano, con un enorme sforzo di invenzione filologica, regole sintattiche per tutti gli elementi grammaticali che stavano fluttuando attraverso i secoli nelle architetture prive di tempo.
La Cattedrale di Ferrara e' questo arcipelago delle forme e me ne sono reso veramente conto questa mattina passando in rassegna ogni singolo elemento come non avevo mai fatto, con un bicchiere di latte macchiato (non dico non l'avessi mai fatto senza bicchiere...).
La Chiesa costruiva il dominio sulle coscienze con l'invenzione della paura e della salvezza e lo faceva edificando le proprie strutture fisse con pietre che erano quanto di meno certo e quanto di piu' fluttuante si potesse mai immaginare. Buffo no?
La liberta' espressiva degli scalpellini, che sembrano venire dallo Spazio per capacita' d'invenzione, ha un portato che poteva, se letto con gli occhi di oggi, fessurare le fondamenta della Chiesa. E non solo agli occhi di oggi.
Pero' allora il problema di alcuni grandi era tenere insieme le cose che si sfrangiavano. Leon Battista Alberti per un certo verso e' piu' spaventato di un qualsiasi scalpellino delle colonnine della cattedrale di Ferrara. E' una paura pero' matura che cerca figure che arginino, che diano non certezze, ma strumenti di costruzione progressiva. Un imparare a riparare la nave mentre si naviga, una di quelle naviculae che l'uomo e', a volte, in grado di costruire.
Chissa' se agli occhi di Alberti Ferrara apparisse disorientata. Forse invece interessantissima, come ogni lavoro in corso. Capitelli bellissimi e diversi fra loro, per figura e concetto, capaci di essere variazione dello stesso tema, su cui pero' si impostano archi senza mediazione alcuna, cosa gia' totalmente out da mo'. Era, appunto, un occhio raffinatissimo che si permetteva invenzioni grammaticali, senza capacita' di articolazione sintattica. Un po' come facevo io appena arrivato a Londra quando usavo termini osando e vuoi caso il latino d'origine comune li rivelava quali termini colti di cui l'interlocutore si meravigliava... poi, pero' le frasi non andavano da nessuna parte. Non comunicavo.
Questa e' l'infanzia di Ferrara, il suo non comunicare in una lingua condivisa dell'architettura. Troppo vaga ancora, con le sue splendide paraste a grottesche che parlavano Latino applicate a strutture che parlavano Tedesco. Pero'... anche la sua ricerca, il suo farsi spazio tra le forme e la curiosita' ed il coraggio di duchi con le loro maestranze.
Se pensiamo pero' che contemporaneamente aveva luogo l'immane fatica di Alberti tutto cio' forse puo' far pensare che a Ferrara andasse bene cosi', senza tanta ricerca, semplicemente perche' tali forme in fondo piacevano cosi', poco importa da dove venissero.
Dato il mio amore per Alberti e data la ricchezza d'intenti e di volonta' del meglio espressa dalla corte Estense per se', questa indeterminatezza nella sua architettura mi parla di provincia dell'animo. O forse manifesta un preciso voler mantenere la propria identita' urbana in un'ostentata autonomia che entra in tangenza con l'eccentricita'... un po' come avere cavalli fluorescenti nei dipinti.
Mi sono sempre chiesto dove saremmo arrivati se non ci fosse stato l'occhio alato di Alberti. Magari saremmo stati arabizzati dal meraviglioso linguaggio astratto delle loro forme, arrivato fino dentro il marmo rosa degli archetti ferraresi a piegarli in archi strani ai nostri occhi che diventano carene di nave e portano una sfera chiara e certa: no rappresentazione, no teatro, solo geometria e luce, tanta luce... e giardini.
Gia' perche' questo e' un blog di giardini, non di architettura e di giardini gli Estensi se ne intendevano. Erano il loro manifesto, ma quale architettura! Cannoni e fiori (non nel senso giusto) questo e' il vero potere.
I giardini si sono volatilizzati, tornati alla terra e le colonne che li incorniciavano sono ovunque, utilizzate di nuovo per le vie della citta', di nuovo vivi i loro capitelli colti e confusi. (Ma quanto l'amo questa citta'?!)
in giardino .134
La differenza e' nello spessore che il rigoglio della vegetazione ha dato al piccolo spazio. L'ombra e' verde come le foglie ed un giardino d'ombra come questo e' dunque piu' verde di un altro al sole... l'avreste mai detto?
Il glicine e la clematide, le anemoni e gli epimedi crescono ed il bosso sotto la sofora sembra disegnato.
Tutto torna oltre il disegno, quando si tratta di giardini. Si mette tutta la passione per accordare le piante e lo spazio e basta piegarsi un po' piu' a sinistra ed un giardino qualsiasi diventa molto piu' bello del nostro disegno, diventa gia' ispirazione per il prossimo disegno.
Forse bisogna lasciare che il ficus carica, non piu' tanto carico di frutti, cresca per conto suo ad unire in un solo arco tutto il giardino, diventato gia' un tratto di matita che non potevamo imaginare. Forse l'ho gia scritto da qualche parte, ma qui puo' starci una volta di piu', il ricordo di una lezione sull'architetto Carlo Scarpa: non sapeva disegnare e forse le mille pieghe delle sue vasche d'acqua sono la traduzione di un tratto di mina spuntata della matita. Qualcosa che e' capitato mentre si faceva qualcosa d'altro.
Ieri sera ho trovato sulla strada questo disegno a gessetto bianco. Casette disegnate negli spazi dei mattoncini, poi ad un tratto il disegno ha preso vita sul filo da casa a casa con i panni stesi.
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Ecological Planting Design
Ecological Planting Design
What do these words mean? Some principles of ecological planting design. (from the book: "A New Naturalism" by C. Heatherington, J. Sargeant, Packard Publishing, Chichester)
Real structural plants marked down into the Planting Plan. The other plants put randomly into the matrix: No. of plants per msq of the grid, randomly intermingling (even tall plants). Succession through the year.
Complete perennial weed control.
High planting density. Close planting allows the plants to quickly form a covering to shade out weeds.
Use perennials and grasses creating planting specifications that can be placed almost randomly.
Matrix: layers (successional planting for seasonal interest) of vegetation that make up un intermingling (random-scattering) planting scheme: below the surface, the mat forming plants happy in semi-shade, and the layer of sun-loving perennials.
Plants are placed completely randomly: planting individual plants, groups of two, or grouping plants to give the impression of their having dispersed naturally. Even more with the use of individual emergent plants (singletons) that do not self-seed, dispersed through the planting.
An intricate matrix of small plants underscores simple combinations of larger perennials placed randomly in twos or threes giving the illusion of having seeded from a larger group.
The dispersion effect is maintained and enhanced by the natural rhythm of the grasses that give consistency to the design. They flow round the garden while the taller perennials form visual anchors.
Allow self-seeding (dynamism) using a competitive static plant to prevent self-seeders from taking over: Aruncus to control self-seeding Angelica.
Sustainable plant communities based on selection (plants chosen for their suitability to the soil conditions and matched for their competitiveness) and proportions (balance ephemeral plants with static forms and combinations such as clumpforming perennials that do not need dividing: 20% ephemeral, self-seeding plants, 80% static plants) of the different species, dependent on their flowering season (a smaller numbers of early-flowering perennials, from woodland edges, which will emerge to give a carpet of green in the spring and will be happy in semi-shade later in the year, followed by a larger proportion of the taller-growing perennials which keep their form and seed-heads into the autumn and the winter).
Year-round interest and a naturalistic intermingling of plant forms.
Ecological compatibility in terms of plants suitability to the site and plants competitive ability to mach each other.
Working with seed mixes and randomly planted mixtures.
Perennials laid out in clumps and Stipa tenuissima dotted in the gaps. Over the time the grass forms drifts around the more static perennials and shrublike planting while the verbascum and kniphofia disperse naturally throughout the steppe.
Accents: Select strong, long lasting vertical forms with a good winter seed-heads. Select plants that will not self-seed, unless a natural dispersion model is required.
Planes: if designing a monoculture or with a limited palette, more competitive plants may be selected to prevent seeding of other plants into the group.
Drifts: to create drifts of naturalistic planting that are static in their shape over time use not-naturalizing, not self-seeding, not running plants.
Create naturalistic blocks for the seeding plants to drift around. For the static forms select plants that do not allow the ephemerals to seed into them.
Blocks: use not-naturalizing species, in high densities, in large groups.
Select compatible plants of similar competitiveness to allow for high-density planting (to enable planting at high density in small gardens).
Achieve rhythm by repeating colours and forms over a large-scale planting.