più che la stella – bella, al mi’ parere.
Cavelli avea biondetti e ricciutelli,
e gli occhi pien’ d’amor, cera rosata;
con sua verghetta pasturav’ agnelli;
scalza, di rugiada era bagnata;
cantava come fosse ’namorata:
er’ adornata di tutto piacere.
D’amor la saluta’ imantenente
e domandai s’avesse compagnia;
ed ella mi rispose dolzemente
che sola sola per lo bosco gia,
e disse: «Sacci, quando l’augel pia,
allor disïa ’l me’ cor drudo avere».
Po’ che mi disse di sua condizione
e per lo bosco augelli audìo cantare,
fra me stesso diss’ i’: «Or è stagione
di questa pasturella gio’ pigliare».
Merzé le chiesi sol che di basciare
ed abracciar, se le fosse ’n volere.
Per man mi prese, d’amorosa voglia,
e disse che donato m’avea ’l core;
menòmmi sott’ una freschetta foglia,
là dov’i’ vidi fior’ d’ogni colore;
e tanto vi sentìo gioia e dolzore,
che ’l die d’amore mi parea vedere.
Il bosco, il museo e la curiosita' che in essi ci accompagna.
Chissa' di cosa e' fatta la liberta' che sta dietro, davanti ed intorno alla curiosita'?
Nel bosco si sa' e' l'ombra ed il fresco e nel museo le forme piu' comuni, cosi' simili alle nostre, ancora da scoprire per la prima volta, forse, ancora da ricondurre al presente dei propri gesti d'amicizia e d'amore.
Il bosco viene da lontano come una statua greca, come la musica sia essa il canto degli uccelli o le note di una siringa al tempo di questo busto.
Il bosco viene dal tempo delle foreste, qualunque sia la sua ampiezza, fosse anche un giardino, perche' e' come e' fatto che lo nomina, la sua densita', la sua massa, come quella scultura che porta la ragazza a guardare dove forse non ha ancora mai guardato.
Le cose da scoprire di una vita si rivelano e tornano a portarci nel bosco dal quale non usciamo mai e dove ci ritroviamo ogni volta che non ci basta cio' che abbiamo davanti. Forse ci sospingiamo noi in esso. E' il bisogno di perdersi, di lasciarsi portare, come questa ragazza al Met si sta lasciando portare, libera di sentirsi al sicuro lasciandosi portare via.
Un bisogno di scoperta, di entrare, ogni tanto, in allunisono con corde che vibrano diversamente dalla nostra voce, dai nostri gesti, dai nostri sguardi fino a quel momento, fino a quel momento, ogni volta, non piu' adeguati a seguire cio' che sta accadendo davanti: una luce diversa, un suono nuovo, un tepore piu' fine che ci nominano diversamente da come siamo stati abituati ad udire il nostro nome fino ad allora.
Liberta' dell'ascolto e liberta' del seguirlo. Certamente c'e' un'eta' in cui la paura di spingersi oltremare va insieme alla gioia, quando ognuno dice: "Or è stagione di questa ... gio’ pigliare" (ognun riempia lo spazio vuoto delle proprie musiche), quando ognuno si addentra nel fosso, insegue una lucertola o tira da un lato i rami pendenti del salice, gia' liane, gia' avventura.
Il bisogno ed il desiderio di entrare nel bosco, nel museo, delle forme che nascondono, aprono ad altre forme e quinte teatrali dove conoscersi e' l'avventura unica che tiene insieme tutta una vita.
Il bosco non e' altro: Guido Cavalcanti, sarebbe proprio un errore non seguire alla lettera le sue parole, come anche, per la ragazza del museo, ascoltare solo cio' che le cuffie le stanno dicendo.
Chissa' di cosa e' fatta la liberta' che sta dietro, davanti ed intorno alla curiosita'?
Nel bosco si sa' e' l'ombra ed il fresco e nel museo le forme piu' comuni, cosi' simili alle nostre, ancora da scoprire per la prima volta, forse, ancora da ricondurre al presente dei propri gesti d'amicizia e d'amore.
Il bosco viene da lontano come una statua greca, come la musica sia essa il canto degli uccelli o le note di una siringa al tempo di questo busto.
Il bosco viene dal tempo delle foreste, qualunque sia la sua ampiezza, fosse anche un giardino, perche' e' come e' fatto che lo nomina, la sua densita', la sua massa, come quella scultura che porta la ragazza a guardare dove forse non ha ancora mai guardato.
Le cose da scoprire di una vita si rivelano e tornano a portarci nel bosco dal quale non usciamo mai e dove ci ritroviamo ogni volta che non ci basta cio' che abbiamo davanti. Forse ci sospingiamo noi in esso. E' il bisogno di perdersi, di lasciarsi portare, come questa ragazza al Met si sta lasciando portare, libera di sentirsi al sicuro lasciandosi portare via.
Un bisogno di scoperta, di entrare, ogni tanto, in allunisono con corde che vibrano diversamente dalla nostra voce, dai nostri gesti, dai nostri sguardi fino a quel momento, fino a quel momento, ogni volta, non piu' adeguati a seguire cio' che sta accadendo davanti: una luce diversa, un suono nuovo, un tepore piu' fine che ci nominano diversamente da come siamo stati abituati ad udire il nostro nome fino ad allora.
Liberta' dell'ascolto e liberta' del seguirlo. Certamente c'e' un'eta' in cui la paura di spingersi oltremare va insieme alla gioia, quando ognuno dice: "Or è stagione di questa ... gio’ pigliare" (ognun riempia lo spazio vuoto delle proprie musiche), quando ognuno si addentra nel fosso, insegue una lucertola o tira da un lato i rami pendenti del salice, gia' liane, gia' avventura.
Il bisogno ed il desiderio di entrare nel bosco, nel museo, delle forme che nascondono, aprono ad altre forme e quinte teatrali dove conoscersi e' l'avventura unica che tiene insieme tutta una vita.
Il bosco non e' altro: Guido Cavalcanti, sarebbe proprio un errore non seguire alla lettera le sue parole, come anche, per la ragazza del museo, ascoltare solo cio' che le cuffie le stanno dicendo.
"Il chiaro del bosco è un centro nel quale non sempre è possibile entrare; lo si osserva dal limite e la comparsa di alcune impronte di animali non aiuta a compiere tale passo. E' un altro regno che un'anima abita e custodisce.[...] Non bisogna cercare. E' la lezione immediata dei chiari del bosco: non bisogna andare a cercarli, e nemmeno a cercare nulla da loro. Nulla di determinato, di prefigurato, di risaputo."
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