Un
campo.
Invece
di immaginarlo dall’alto come fossimo uccelli vedendone
immediatamente solo la geometria che disegna le proprie forme
perimetrate dai desired paths, pensare a cio’ che succede tra me e
cio’ che mi sta davanti. Cio' che va da me al sentiero in
lontananza. Da me ad ognuno di quei desired paths che come
altrettanti orizzonti marcano e fanno cominciare il campo di nuovo.
Occorre
affidarsi ad unita’ di misura fatte di cio’ che, davanti a me,
tiene vivo il mio stupore e su cui imparo a confidare. Vedere il
campo secondo delle unita’ di misura prive di finalita' geometrica:
unita’ di misura della scoperta.
Non
un riempimento di uno spazio, bensi’ una densificazione di tale
spazio.
Spazio-racconto,
cominciato prima di me, spazio che io faccio durare, di cui ho cura,
la cui forma non mi interessa.
Proprio
perche’ non mi interessa misurarlo, il campo diventa privo di
contorno, privo dunque di forma. E' un fatto esperienziale scandito
da eventi ed accidenti nella durata che va da me a cio’ che mi sta
davanti. Unita’ di misura illimitate ed incommensurabili che
nominano il tempo, lo fanno cominciare, lo scandiscono come
altrettante sequenze di un racconto. Ecco come il tempo entra nel
progetto.
Questo
e’ il potenziale, afferente al racconto, che un campo custodisce. E
questo tempo del racconto e’ gia’ simile a un altro tempo, quello
delle piante, che crescono, mettono le foglie ed i fiori, mutano la
loro forma, dimensione e posizione. Tempo anche mio, non solo mio.
Questo carattere aperto del campo. Credo solo cosi’ si possa
raccontare tanto dell’amore per la natura.
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