"Sono altezzosi i giardinieri che piantano guardando i proprio stivali", diceva.
E' un'ingiustificata altezzosita' quella che sento venire da chi si occupa di giardini nei paesi dove la cultura del giardino non e' approdata alle soglie del XX secolo quando una certa idea di democrazia ha aperto il retro delle case ai 4x5 metri di terreno che hanno permesso il diffondersi di quella gioia propria dei re.
Poi altrove ci sono i prati secolari e li' e' tutta un'altra cosa.
Quei secoli sono pratiche che hanno sospinto l'orticultura oltre l'orizzonte della sopravvivenza ed hanno esteso i confini del corpo laddove esso incontra l'anima (chiamiamola con il nome che ognuno preferisce) ed il gusto incontra la vista. Cosi' non ci si chiede piu', in tempo di pace, se uno zucchino e' piu' buono del suo fiore o se il fiore e' piu' bello. L'orticultura si estende allora a comprendere anche le piante da fiore, i giardini ed allora sorge la Royal Horticultural Society che pubblica di piante lavorando parallelamente a progetti di ricerca scientifica in difesa della biodiversita'. Niente male.
Tutto questo dal giardino? In verita' tutto questo dalla cucina, perche' i 4x5 metri di terreno si aprono al soggiorno come, una volta finito di cucinare, l'orto puo' anche aprirsi al giardino. Quelle migliaia di orti e giardini che insieme sono il giardino unico, il whole garden della ricerca di Ken Thompson all'universita' di Sheffield su cui tanto la biodiversita' urbana conta (... un po' piu' giu', oltre canale, comincia il giardino planetario di Cle'ment con la sua carica politica cui gli inglesi sembrano preferire l'avventura libertaria dell'andare a prendere lo stallatico ben macerato nella fattoria accanto).
Altezzosita' da assenza di pratica allora. Comprensibilissima. Ecco perche' un critico inglese commento' come "ingiustificata" l'altezzosita' della signora Jekyll, che di pratica ne aveva.
La signora poteva permettersi di giocare con l'altezzosita', non in nome della sua bravura (che ai miei occhi gia' si vela, almeno un poco), bensi' in nome del fatto che la cultura del giardino nel suo paese non ne subiva alcun danno. Ben altro il danno subito nei terreni piu' incolti della mancata democratizzazione della cultura del giardino, terreni in cui l'altezzosita' diviene sinonimo di impoverimento. In assenza di secoli di prove e riprove il disciplinare non e' andato consolidandosi quale abitudine estetica e dal momento che abitudine, bisogno e desiderio vanno insieme ecco come, nella mancata pratica e nel formalismo che in essa trova spazio, a soffrirne e' il paesaggio intero in cui viviamo e, di conseguenza, le opportunita' del nostro sguardo di aprirsi ad esso.
"Alcuni giardinieri non hanno tempo per guardare gli alberi crescere, li vedono gia' grandi", diceva.
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