Il disegno per il giardino di Villa Melchiorri a Ferrara, la scelta degli elementi vegetali e la composizione delle superfici ha cercato di avvicinarsi alla cultura botanica del fare i giardini che può avere ispirato l’aspetto originario del giardino della villa negli anni successivi al 1903. Nel proporre una continuità tra le aree che lo formano, la composizione di queste, intesa come sviluppo di stanze, si è affidata esclusivamente a scelte botaniche e compositive.
Nelle prime due stanze prospicienti il prospetto principale della villa, il disegno introduce la costante monoculturale di due specie botaniche quale primo livello del piano di piantumazione; da esso vengono fatti emergere episodici accenti -come vengono chiamate in letteratura le singole piante emergenti- che permettono alle bordure di accordarsi, richiamandosi l’un l’altra, all’insegna dell’unità d’insieme del progetto. Oltre queste due aree, una terza stanza si apre su un’ampia superficie prativa bordata da due siepi, una semplice e informale lungo il confine a Ovest e l’altra doppia e selvatica a Est, capace di fondere il proprio profilo con la vegetazione esistente oltre il confine, espandendo in tal modo il senso della spazialità del giardino.
Le specie botaniche scelte per il progetto sono sempreverdi e decidue, piante queste che perdono le foglie durante la stagione invernale dando progressivamente vita alla presenza del colore attraverso l’autunno e l’inverno grazie all’interesse della struttura dei propri steli e delle corolle ancora cariche dei semi. Il mutare dell’aspetto delle specie botaniche è dunque una cifra del progetto. Il disegno del giardino si concentra sui piani di piantumazione ovvero sullo studio delle aree da destinare alla vegetazione e sulla composizione delle specie botaniche.
Nella storia del giardino le piante hanno spesso deciso il carattere del giardino prima ancora che lo facesse la sua forma, per il portato immaginifico che le possibilità botaniche introducevano una volta ampliatasi la cultura delle opportunità estetiche delle diverse specie. Il tempo di Villa Melchiorri era quello del giardino delle erbacee perenni e degli arbusti dal carattere selvatico che accompagnavano lo sguardo nell’arco dell’intero anno. La scelta di alcune piante decidue per il giardino fonda la propria ragione in una cultura che attraverso il secolo scorso è giunta a noi rinnovata di significato. Le specie sempreverdi ottemperano ai bisogni di una consuetudine estetica che, nella dimenticanza delle rivoluzionarie idee esposte da William Robinson e altri, pone l’attenzione sulla forma ed il colore dei fiori appena sbocciati e la presenza costante delle foglie durante la stagione invernale all’insegna di una congelata bellezza che non si pone in dialogo alcuno con le ragioni naturali del giardino. La pianta viene così intesa esclusivamente nel suo stato primaverile o nella sua durata invernale funzionale a mascherare un intervallo temporale colto come mancanza di vita in giardino. Questa visione era già stata scardinata, nel passaggio tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, dall’emergere di un’intelligenza del mondo naturale guidata da una sensibilità verso la vita della pianta nella sua interezza quale mimesi di ciò che accade alla nostra vita e quale apertura nei confronti di un’esperienza estetica di maggior respiro cui risultava ormai irrinunciabile la nuova gamma di possibilità formali e cromatiche fino ad allora rimaste inesplorate e inespresse.
Per decenni tale cultura del giardino novecentesco si è perduta fino al momento in cui, verso gli anni novanta del secolo scorso, una rinnovata urgenza ecologica emersa in Olanda, Francia e Germania ha ridato voce a quella sensibilità di cento anni prima ed è diventata in breve tempo il segnavia di un’attitudine pressoché imprescindibile da parte di un paesaggista.
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