Epilogo della Relazione Finale del progetto europeo Hybrid Parks.
Testo scritto in occasione della conferenza conclusiva del progetto Hybrid Parks, Colonia 14, 15, 16 Settembre 2014
In questi due
anni il progetto Hybrid Parks ha cercato quale possa essere la forma di gestione piu' consona per i
parchi pubblici di un territorio vasto tanto quanto, piu' o meno,
l'Europa. Un progetto ambizioso cominciato con la fiducia di chi si
incammina per una via ignota; progetto che si chiude, in questi
giorni, con la stessa fiducia, ma con il pudore di chi scopre che davanti si e' aperta una strada ancora
piu' ignota.
Ovvero
nessuno di noi, a questo punto, riuscirebbe ad avere anche solo per
un istante la presunzione di credere che possa esistere un modello
per quel Parco Ibrido che si era messo a cercare.
E
proprio questo e' il successo dell'intero progetto: aver privato di
seduzione ogni tentazione alla semplificazione ed aver mostrato
quanto piu' interessante sia la complessita' del territorio europeo.
Se
il problema da affrontare e' la questione ecologica, allora e'
facile.
Abbiamo
tutte le conoscenze per creare spazi verdi adeguati al fenomeno del
lento e progressivo impoverimento della diversita' climatica con
tendenza all'innalzamento delle temperature ed alla scarsita'
d'acqua.
Tecnicamente
e' facile. Si tratta di porre l'attenzione sulla sostenibilita' delle
scelte vegetali da unire ad un tipo di progettazione che impari ad
imitare le comunita' vegetali spontanee in natura, creando cosi'
comunita' vegetali semi-autosufficienti. Piante resistenti e durature
entro una progettazione che diventi mimetica dei paesaggi naturali
cosi' che il dinamismo delle comunita' vegetali entri nel paesaggio
delle nostre citta'.
Le
corolle dei fiori secchi per gli insetti e gli uccelli, da potare
solo in inverno, con un notevole contenimento delle spese, porteranno
dentro le citta' una bellezza cui le citta' non sono piu' abituate,
un'estetica nuova, in cui l'intero arco della vita delle piante puo'
finalmente esprimersi.
Sostenibilita'
delle specie vegetali, sostenibilita' della progettazione e
sostenibilita' della gestione.
Stiamo
parlando di una cultura degli spazi verdi che si apre ad una bellezza
cui non siamo abituati, una bellezza fatta di soluzioni formali
insolite.
E
qui la questione ecologica apre uno scenario che va oltre la sfera
estetica.
Mentre
scrivevo mi accorgevo che pensare a queste forme di progettazione
insolite capaci di seguire le piante nel loro sviluppo naturale, mi
suggeriva un altro pensiero che si muoveva in parallelo prendendo
forma a poco a poco. Mi accorgevo che il modo in cui stavo ragionando
sulle piante era in verita' un modo di guardare le cose cui forse non
ero piu' abituato. Mi accorgevo che dall'essere concentrato sulle
forme vegetali slittavo necessariamente sulle forme del sociale e che
il modo di guardare le piante diventava una sorta di suggerimento di
come avere gli occhi piu' aperti.
Forse
comprendere come funziona la biodiversita' vegetale porta vicino alla
comprensione della molteplicita' sociale delle nostre citta'.
Scopriamo
che quell'estetica nuova e' in grado di superare i confini
dell'ecologia e dirci qualcosa a proposito della capacita' dei nostri
parchi di diventare piu' adeguati al dinamismo del tessuto sociale
delle citta'; parchi in grado di permettere a quel dinamismo di
esprimersi senza impoverirsi.
Un'estetica
dell'ecologia che e' totalmente nuova semplicemente perche' solo da
poco tempo abbiamo imparato a fermare lo sguardo sui prati
abbandonati dietro casa dove le piante occupano lo spazio piu' adatto
a loro.
All'incontro
di Ferrara dello scorso Novembre, accennavo al rischio che il non
ascoltare l'urgenza ecologica nella progettazione degli spazi verdi
comporta: il rischio, ben oltre l'evidente questione ecologica, che
il paesaggio in cui viviamo non rappresenti piu' nulla per i suoi
abitanti e che le sue forme non generino alcun senso di condivisione.
Mi
domandavo dunque quale forma il nostro paesaggio dovesse avere?
Raccontavo
come nella prima meta' del XIV secolo, l'affresco dell'Allegoria
del Buon Governo dipinto
da Ambrogio Lorenzetti a Siena, avesse esemplificato la
rappresentazione paesaggistica piu' adatta alla contemporanea idea di
benessere, di coesione sociale, di Pace.
Hybrid
parks in questi due anni ha cercato di conoscere quale sia la
rappresentazione paesaggistica piu' adatta alla nostra idea di Pace.
Ed
alla fine del suo viaggio il progetto conosce il pudore di domandarsi
se cio' che e' necessario sia uno specifico paesaggio da comporre
mettendo insieme le esperienze migliori, una sorta di super-parco
“modello” di laboratorio o se invece non occorra pensare ad un
parco privo di una forma predefinita, un parco da ripensare ogni
volta, ogni volta capace di adattare le sue forme, ogni volta attento
a cio' che accade intorno e dentro di se'.
La
Pace contemporanea, come e' divenuto ormai evidente ovunque nel
mondo, dimora nel modo in cui noi riusciamo a gestire insieme
l'integrita' ecologica e la coesione sociale.
La
coesione sociale di un territorio puo' formarsi solo nella
condivisione dei valori comuni che si formano intorno ai bisogni
fondamentali della vita, bisogni che sono l'espressione piu' diretta
della nostra relazione con l'ambiente.
Sostenibilita'
e Pace sono identici.
Lo
spazio pubblico e' il luogo in assoluto piu' atto a permettere il
formarsi ed il mantenersi della coesione urbana perche' e' li' che la
condivisione puo' esprimersi nelle sue molteplici forme,
potenziandosi senza impoverirsi.
La
molteplicita' delle forme in cui la condivisione sociale si manifesta
diventa per noi strumento progettuale.
Se
a livello tecnico, come abbiamo visto, la differenziazione nella
gestione del verde garantisce la qualita' della biodiversita' di un
ambiente naturale, a livello sociale occorre essere in grado di
rispondere ai diversi bisogni di chi usera' e condividera' gli spazi
pubblici ovvero occorre percorrere la via della differenziazione
delle opportunita' d'uso
di tali spazi.
Dalle
piante siamo passati alle persone perche' l'ecologia e la societa'
condividono lo stesso destino, entrambe possono funzionare soltanto
come sistemi
unitari.
Creare
spazi pubblici differenziati e' possibile solo se si attinge
alla molteplicita' degli strumenti di gestione capaci di soddisfare
tali molteplici bisogni. Ecco dove emerge lo spirito del progetto
Hybrid Parks, le sinergie tra i mestieri, le agenzie, i tecnici.
Ibrido
e biodiverso vediamo dunque quanto siano sinonimi. Uno stesso spirito
li anima e insegna a resistere ad ogni seduzione della
specializzazione dello sguardo. Lo sguardo deve mantenere il suo volo
d'uccello sulle differenze, deve mantenersi capace di cogliere le
diversita' delle cose vedendole come un insieme unitario senza
riduzione ed impoverimento alcuno.
Se
immaginiamo di guardare dall'alto una citta' -dicevo ancora a
Ferrara- con la fortuna di vedere come vedono gli uccelli, l'insieme
frammentario dei suoi giardini si rivela come un unico giardino. Gli
uccelli non si curano dei muri divisori tra giardino e giardino, di
quale pianta sia in un giardino o in un altro... per loro il volo e'
un volo sopra un giardino
grande quanto la citta'.
La ricchezza della biodiversita' di questo giardino unitario e' data
semplicemente dalla varieta' casuale dei piccoli e grandi habitat che
lo compongono, non dalla presenza di super-giardini modello
specializzati in biodiversita'.
Hybrid
Parks dunque non e' arrivato ad un modello formale, ma un modo di
guardare capace di mantenere
uno sguardo d'uccello sull'insieme unitario delle esigenze materiali
e spirituali di ognuno di noi.
Il
fatto e' che occorre togliere un po' di muffa dalla nostra
immaginazione, almeno questo e' cio' che alcuni eventi mi hanno
insegnato a fare.
Credo
che essere italiano aiutati a comprendere qualcosa che le altre
societa' piu' ordinate e precise fanno piu' fatica a riconoscere di
se' o non ricordano piu'.
Quest'estate
sono stato in viaggio in Sicilia. Sono arrivato con l'aereo a
Palermo. E' stata la prima citta' visitata. Un capolavoro!
Visitare
Palermo e' come andare dallo psicologo: piu' cammini piu' ti sembra
di essere portato via da cio' che conosci meglio ma, allo stesso
tempo, hai la sensazione di rientrare a casa tua con una chiarezza
mai avuta prima.
Camminando
per la Palermo antica, si impara lentamente ad accogliere il caos
delle sue strade e delle facciate delle sue case e alla fine della
giornata cio' che ha inegli occhi, in un misto di realta' e
trasfigurazione, e' un insieme unitario di ricchezza formale
diventata una sorta di sensazione di appartenenza.
Cio'
che il giorno del mio arrivo chiamavo caos, gia' il giorno dopo,
prendeva il nome di molteplicita' e la citta' mi appariva come un
palinsesto. Palermo e' un foglio di pergamena sul quale e' leggibile
un testo che e' stato scritto sopra un testo preesistente, scritto
secoli prima e grattato via per permettere al nuovo testo di fissarsi
sulla pelle di capra, senza che pero' le sue tracce si siano perse
completamente. Gli scritti rimangono nella trasparenza del foglio ed
arrivano a noi.
A
Palermo ci si accorge della somiglianza esistente tra la nostra vita
e quel palinsesto dove piu' segni sono lasciati sulla superficie,
tutti ricchi di significato. Al presente questi segni appaiono
confusi, tutti nel proprio spazio, tutti con un proprio frammento di
senso, tutti compresenti e pronti a dirci qualcosa. Basta avere la
pazienza di leggerli.
E
forse noi che abbiamo cominciato a notare la bellezza dei prati
incolti dietro casa, stiamo diventando piu' capaci di questa
pazienza.
La
natura e' questo, le citta' sono questo, noi siamo questo.
Da
sempre le citta' sono durate sull'attenzione alle preesistenze. Le
civilta' piu' ricche e longeve hanno gestito la molteplicita'. In
Sicilia i Normanni l'hnno fatto con i Saraceni e prima i Saraceni con
i discendenti dei Greci. Negare la complessita' significava morire,
accoglierla significava prosperare.
Siamo
sempre stati ibridi.
Occorre
rieducare lo sguardo all'abitudine alla complessità. Deve
riapprendere ad essere ibrido; solo allora sara' in grado di vedere
quanto ibrido e' lo spazio intorno a se' ed in grado di progettarlo
in modo davvero adeguato ai bisogni materiali e spirituali di chi lo
abita contro la tentazione di ridurre cio' che riteniamo importante
nella fissita' di una forma che abbia la presunzione di esemplarita'.
Un
paesaggio palinsesto capace anche di perdere per strada alcune cose
perche', come l'esperienza dimostra, cio' di cui si ha bisogno si
verifica spesso anche fuori della progettazione.
Allora
non esiste un parco ibrido modello, un parco ibrido per eccellenza.
Esistono esigenze ecologiche e sociali da coniugare nella
specificita' delle condizioni in cui si presentano affinche' la forma
che nasce sia la loro piu' consona rappresentazione.
Forse
il parco ibrido e' quello che permette a tali usi di potersi
sedimentare sui tracciati urbani, un parco che prende senso proprio
come opportunita' formale di una sedimentazione d'uso, un parco in
grado di restituire gli spazi delle città ai bisogni che la' si
manifestano.
Questo
parco che accoglie ed incrementa la molteplicita' d'uso, attraverso
un'interna differenziazione delle sue forme, diventa strumento di
coesione sociale. Le diversita' sociali trovano il posto piu' adatto
a loro perche' quel parco le rispecchia come se fosse la forma di
un'abitudine d'uso. Li' i valori comuni si esprimono.
Mi
piace pensare che il nostro parco ibrido sia rintracciabile nella
diversita' da ogni parco esistente e, insieme, nella somiglianza a
tutti i parchi esistenti in un'Europa che sappiamo essere non piu'
complessa di quello che nel XIV secolo appariva Siena agli occhi di
un suo abitante.